14.04.2018
da Il Fatto quotidiano
“Ho ordinato all’esercito degli Stati Uniti di lanciare attacchi di precisione contro obiettivi associati al potenziale di armi chimiche del dittatore siriano Bashar al Assad“. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, parlando alla nazione dalla Casa Bianca e precisando che gli attacchi sono in corso, in coordinamento con Francia e Regno Unito.
“Non è finita. Quella che avete visto stanotte non è la fine della risposta degli Stati Uniti”: lo affermano fonti dell’amministrazione Trump, spiegando come il piano messo a punto dal Pentagono “prevede molta flessibilità che permette di procedere a ulteriori bombardamenti sulla base di quello che è stato colpito stanotte”. La più grande preoccupazione, si spiega inoltre, è l’accresciuta capacità della Russia rispetto allo scorso anno in termini di difese antimissili e antiaerea.
BASI MILITARI E SEGRETI DI STATO. NOI NO RESTIAMO IN SILENZIO
di Gregorio Piccin
L’Italia ospita 59 basi militari statunitensi, alcune delle quali risultano essere tra le più importanti dal punto di vista strategico/operativo a livello continentale (capacità nucleari comprese).
L’Italia ospita, il 15% (13.000 unità circa) del personale militare statunitense presente in Europa e con questi numeri il nostro Paese risulta essere il quinto avamposto statunitense a livello globale dopo Germania, Giappone, Afghanistan e Corea del Sud.
Negli ultimi venticinque gli Stati uniti (coadiuvati finanziariamente anche dai governi italiani) hanno investito ingenti risorse nelle basi italiane trasformandole in rampe di lancio per operazioni in Europa, Africa e Medio oriente.
Ogni volta che gli Stati Uniti annunciano ed eseguono un’aggressione militare verso Paesi terzi nel quadrante euro-mediterraneo, l’Italia viene sistematicamente coinvolta direttamente o indirettamente concedendo l’uso delle basi.
Oltre cha dal trasversale cieco atlantismo in politica estera, questo insensato automatismo deriva dal fatto che permane il segreto di stato sull’accordo bilaterale sulle basi militari alleate siglato nel 1954 dal governo Scelba e dall’allora ambasciatrice statunitense Clare Booth Luce (Bilateral Infrastructure Agreement meglio noto come “accordo ombrello”).
Il BIA, che si riferiva all’uso di 6 basi, è stato poi aggiornato e perfezionato negli anni per coprire tutte le installazioni successivamente insediate sul nostro territorio e trascinandosi dietro, di volta in volta, la consueta segretezza.
È solo grazie ad uno dei vari cablogrammi resi noti da Wikileaks che oggi sappiamo che gli statunitensi sono seriamente preoccupati dalla declassificazione del BIA poiché in base all’articolo 2 del trattato stesso essi non potrebbero utilizzare le basi su suolo italiano per azioni di guerra a meno che non siano in osservanza a disposizioni NATO o concordate con il Governo italiano (come è stato per l’Iraq e come sarà per la Siria).
Ma se la prima guerra fredda si è conclusa nel 1989 e la sua versione 2.0 è in pieno svolgimento il nostro Paese non può più permettersi il segreto di stato sulla propria sovranità e sul fatto che diventa esso stesso, in quanto quinto avamposto statunitense, un obiettivo strategico per le ritorsioni degli altrui nemici.
L’Italia non ha bisogno di nemici, ma di pace, stabilità, e relazioni internazionali basate sulla cooperazione.
È tempo che il segreto di stato sulle basi statunitensi nel nostro Paese venga rimosso, come primo passo concreto per l’uscita dell’Italia dalla NATO, dalla belligeranza permanente che questa produce e dalla grave ipoteca che le basi statunitensi pongono sul nostro stesso futuro.