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NO AL BAVAGLIO.Da Pomigliano alla Rai, lo sberleffo si paga con i licenziamenti. Come diceva Di Ruscio, «se gli dicono di smetterla il proletario canta più forte»

Da il Manifesto
di Ascanio Celestini
16.09.2016

"Io sono Mimmo Mignano, uno dei cinque licenziati dalla Fiat" così inizia il racconto di un signore che incontro a Napoli in un teatro a Montecalvario nei Quartieri Spagnoli, quella zona del mondo che agli occhi di Stendhal "è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo".
Mi chiedono di fare una fotografia, di firmare una petizione e io gli chiedo di incontrarli, di raccontarmi la loro storia. Accendo la videocamera e registro l’incontro al Nuovo Teatro Nuovo, accanto al palcoscenico dove, tra qualche ora, farò spettacolo.
Mimmo mi dice che "ci sono due sentenze contro di noi. Nei tribunali vogliono far passare qualcosa che per legge hanno più problemi, cioè il diritto di espressione, di satira".
Sta parlando di un fatto avvenuto veramente, ma che sembra l’invenzione di uno sceneggiatore per qualche commedia cinematografica. È la storia di un pupazzo che è stato impiccato durante una manifestazione. Non un attentato con decine di morti, non una gambizzazione e nemmeno un sequestro, ma un pupazzo di stoffa. E nemmeno la rappresentazione di un omicidio (nella tradizione dei nostri carnevali si ammazzano i re da secoli e nessun giudice processa il popolo che uccide il Re Carnevale), ma un suicidio: la messa in scena del suicidio di Marchionne.
C’è un capannone che la Fiat chiama Polo Logistico di Nola, ma gli operai lo chiamano “Reparto Confino” (Accornero parlava della stessa strategia della Fiat già alla fine degli anni ’50) "nel senso che Marchionne prende gli operai più sindacalizzati, quelli più scamazzati dalle catene di montaggio, come si chiamano … RCL, ridotte capacità lavorative, li sposta a una ventina di chilometri gli fa fare qualche giorno di lavoro e poi li mette per anni in cassa integrazione. In questo periodo buio di cassa integrazione due nostri colleghi si tolgono la vita: Peppe De Crescenzo si impicca nella sua camera da pranzo e tre mesi dopo Maria Baratto la trovano morta suicidata con le coltellate allo stomaco. E questa compagna aveva rimasto pure una lettera testimoniale della gravità della sua condizione di vita sociale e economica".
Nel documentario di Rossomando La fabbrica incerta Baratto dice "le patologie causate dalla catena di montaggio? A 22 anni montavo il tergilunotto sull’Alfa 33, da sola. Oggi prendo psicofarmaci".
Due anni dopo accusa "l’intero quadro politico-istituzionale, che da sinistra a destra ha coperto le insane politiche della Fiat" e poi si lacera il ventre a coltellate.
Aveva scritto che "a Pomigliano l’unica certezza dei cinquemila lavoratori consiste nella lettera di altri due anni di cassa integrazione speciale per cessazione di attività di Fiat Group Automobiles nella consapevolezza che buona parte di loro non saranno assunti da Fabbrica Italia. Il tentato suicidio di oggi di Carmine P., cui auguriamo di tutto cuore di farcela, il suicidio di Agostino Bova dei giorni scorsi, che dopo aver avuto la lettera di licenziamento dalla Fiat per futili motivi è impazzito dalla disperazione ammazzando la moglie e tentando di ammazzare la figlia prima di togliersi la vita, sono solo la punta dell’iceberg della barbarie industriale e sociale in cui la Fiat sta precipitando i lavoratori.
Così scriveva, poi s’è ammazzata anche lei.

Dopo il suicidio di Maria "la pelle s’è fatta d’oca. Stavamo in una situazione di drammaticità enorme e inscenammo un finto suicidio di Marchionne con un finto testamento nel quale, prendendo dalle parole di Maria Baratto, scrivemmo che lui chiedeva scusa di questi suicidi e chiedeva di far ritornare i 316 al proprio posto di lavoro, cioè all'interno della Fiat di Pomigliano D’Arco. Da qui è scattata la lettera di contestazione e di seguito il licenziamento".
Quante migliaia di licenziamenti avremo nei prossimi anni perché un operaio si permette di dire: come è cattivo il mio padrone! Se viene meno questa democrazia andiamo oltre la questione dei licenziati

Mimmo dice che loro hanno sempre fatto satira nelle loro manifestazioni. "Ci siamo travestiti da pagliacci davanti allo stabilimento di Melfi quando Renzi è stato in visita allo stabilimento, ci siamo travestiti da fantasmi… Noi usavamo la satira per denunciare quello che avveniva all’interno della fabbrica. E infatti con te non vogliamo parlare dei cinque licenziati per quel fatto del pupazzo di Marchionne suicida, ma ci rendiamo conto che se passa in tribunale una sentenza che vieta il diritto di critica, di espressione, di satira … se passa nei tribunali per i più deboli, tra qualche anno arriva anche a Ascanio Celestini e Moni Ovadia, a Daniela Sepe e a Francesca Fornario, insomma a quelli che fanno satira, cinema, teatro, letteratura, che scrivono sui giornali, che disturbano i potenti. Quante migliaia di licenziamenti avremo nei prossimi anni perché un operaio si permette di dire: come è cattivo il mio padrone! Se viene meno questa democrazia andiamo oltre la questione dei licenziati".
E per Francesca Fornario sono venuti a Roma, alla Rai ad esprimere la loro solidarietà.
Mimmo s’è incatenato al cavallo di Viale Mazzini, Francesca arriva di corsa, si commuove e scrive: "Leggo il comunicato e penso: È uno scherzo… Vedo la foto, lo striscione, controllo se non sia un fotomontaggio. Operai. Licenziati. Di Pomigliano. Che srotolano uno striscione davanti alla Rai. Non per chiedere indietro il lavoro. Non per chiedere indietro la casa, che i più hanno lasciato alla moglie che ha lasciato loro, negli anni in cassintegrazione a Nola, mentre a Pomigliano si facevano gli straordinari ogni sabato per produrre automobili e loro no, loro in automobile ci dormivano. Non per chiedere indietro la vita, la loro e quella dei colleghi che hanno provato a togliersela, perché la vita in cassintegrazione al reparto-confino di Nola crolla per "l’effetto domino", lo chiamano così, mimando il crollo di un palazzo con le mani: 700 euro al mese per un lavoro che non c’è più, i soldi che non bastano per pagare la mensa a scuola e l’assicurazione della macchina e allora vai in giro senza fino a quando non ti fermano e ti tolgono la patente precipitandoti nell’illegalità, e allora ti deprimi e ti incazzi e tua moglie ti lascia".
Lo striscione che si sono portati da Acerra chiede indietro la satira. “Satira Libera”. Mi precipito a Viale Mazzini e li trovo lì, stupiti del mio stupore. Mi spiegano che è la stessa guerra. Che anche loro hanno perso il posto per aver osato criticare l’azienda. “Sì, ma io me ne sono andata perché non c’erano più le condizioni per …”. Che anche a loro è stato impedito di fare satira su Marchionne. “Eh?!”. E via con le battute su Marchionne che facevo a Radio2. Marchionne che va a produrre la Panda in Polonia dove gli operai non pretendono di fare la pausa-pranzo. Fino a quando non scopre che lungo il Gange c’è un ashram di fachiri in grado di trattenere la pipì per 36 ore e trasferisce lì la produzione della Panda. Fino a quando non legge su Focus che i macachi delle Filippine sanno avvitare i bulloni …
Nel piccolo teatro dei Quartieri Spagnoli di Napoli accanto a Mimmo c’è Antonio Montella, che sul suo profilo Facebook si descrive così: Licenziato presso Fiat Group.
Dopo che la Fiat ha acquistato l’Alfa Romeo dice "si è cercato testardamente di capire quali progetti c’erano per Pomigliano. Quando sono entrato io nell’89 la fabbrica era un cesso, si lavorava a cappello d’asino. Ora le migliorie sono per l’ergonomia, per aumentare la linea di produzione. E invece le battaglie che abbiamo fatto noi è di farci licenziare per fare assumere anche le donne, per esempio. La battaglia per un operaio con l’ernia al disco che doveva prendere un ammortizzatore da un cassone, lo doveva sollevare con le braccia per metterlo su una postazione, abbiamo lottato per un paranco. Abbiamo lottato per i carroponti che c’erano i freni che contengono ferròdo e sappiamo che il ferròdo, per il raffreddamento, contiene amianto. E quanti operai sono morti in meccanica, in carrozzeria, in verniciatura, da tutte le parti?
Siamo capatosta, così si dice a Napoli.

La classe operaia è colei che mantiene uno Stato così corrotto e così indegno di essere chiamato Stato.

La Classe operaia è colei che mantiene il prodotto interno lordo, è colei che mantiene tutto.

Non a caso questa compagna Maria Baratto per istinto e cose interne della persona scrisse proprio quella cosa sui suicidi in Fiat. Cioè che non erano suicidi casuali, ma suicidi per i sacrifici della classe operaia. E noi chiediamo rispetto per questa cosa. In seconda cosa chiediamo la sicurezza sul posto di lavoro. In terza cosa, soprattutto, chiediamo la democrazia: il diritto di satira, di critica, di espressione. È una cosa che non ci possono togliere. Ci abbiamo impiegato secoli per uscire dal silenzio del dolore e della sottomissione".
Adesso non è più possibile stare zitti e, come scrive Di Ruscio pensando a qualche derelitto proletario "se gli dicono di smetterla canta più forte".

E dunque urleranno questi operai. Urleranno forte nelle piazze e nei tribunali.

da Contropiano
del 13.09.2016

Quello che la TV di stato non fa vedere....

Come ampiamente prevedibile anche la tappa napoletana di Matteo Renzi è stata costellata dalla solita scarica di manganellate contro gli attivisti che protestavano.

L’abituale varo di una zona rossa a ridosso del luogo dove il Matteo nazionale era atteso (in questo caso l’area attigua il teatro San Carlo) ma, soprattutto, da un parossistico dispositivo autoritario – dai toni dei giornali cittadini allo stato d’assedio di buona parte del centro cittadino – il quale costituisce lo scenario normale in cui Renzi, in ogni parte d’Italia, esibisce i suoi monologhi da affabulatore sulle mirabolanti virtù della sua azione di governo.

Bene, quindi, hanno fatto gli attivisti napoletani che a poche ore dall'annuncio della ennesima calata di Renzi a Napoli hanno organizzato presidi e momenti di contestazione a ridosso della zona circoscritta, militarizzata e negata alla normale fruizione pubblica.

In tale contesto – ed è questa un'altra costante della situazione napoletana – ancora una volta si è distinto il ruolo di esplicita provocazione del Vice questore, Maurizio Fiorilli, il quale non ha perso l’occasione, come avviene da anni, di provocare, insultare e minacciare singole persone al solo scopo di determinare una immotivata tensione utile esclusivamente all'ulteriore repressione e criminalizzazione di chi si trova in piazza a manifestare.

Contro questo oggettivo elemento di provocazione, contro questo vulnus democratico, nella mattinata di martedì 13 settembre, alle ore 11, sotto la Questura di Napoli, si terrà una Conferenza Stampa dove verranno presentate testimonianze su questa autoritaria condizione che, da tempo, si registra nella gestione dell’ordine pubblico nella città partenopea.

A questo proposito pubblichiamo il comunicato di Massa Critica:

Il presidente del consiglio Renzi è sopraggiunto a Napoli per assistere ad un'opera di Kauffman al San Carlo. Centinaia di abitanti di questa città sono arrivati fin sotto la zona del teatro napoletano per contestare la sua presenza per il commissariamento di Bagnoli, il Jobs Act, lo Sblocca/Italia, la buona scuola e la sua riforma costituzionale, ma un imponente dispiegamento delle forze dell'ordine, circa dieci reparti e centinaia di uomini, hanno iniziato a rastrellare la zona con dei metodi molto discutibili: spintoni, percosse, manganellate e perfino minacce di morte da parte di dirigenti e uomini delle forze dell'ordine ai manifestanti.
Il vicequestore Fiorillo ha addirittura minacciato di "sparare in testa" a due manifestanti presenti al corteo.

Il vicequestore Fiorillo già protagonista nella gestione della vergognosa mattanza di Genova 2001, oggi ripropone, da alcuni anni nella piazza napoletana, discutibili modalità di gestione dell'ordine pubblico.
Metodi da dittatura cilena che non accettiamo.

La nota del sindaco Luigi De Magistris, precedente alle cariche della polizia, in cui rifiuta di incontrare – in quelle condizioni – Renzi:

Il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, in relazione alla notizia della disponibilità del Presidente Renzi ad un incontro stasera prima dell'evento di Kaufmann al San Carlo, fa sapere di essere lieto di questa intenzione ma che non può accettare, tenuto conto della presenza al tavolo in delegazione del Commissario su Bagnoli. " Non si comprendono le ragioni per le quali un incontro istituzionale più volte richiesto debba necessariamente avvenire, a pochi minuti dal concerto, alla presenza irrinunciabile del Commissario su Bagnoli ". Questa è la dichiarazione del Sindaco Luigi de Magistris.

Pubblicato il 9 set 2016

Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, dichiara:

“I dati diffusi dal Ministero del Lavoro ci dicono che in Italia vi è una spaventosa precarietà del lavoro. Se in tre mesi ci sono stati 2,45 milioni di attivazioni di contratti a fronte di 2,19 milioni di cessazioni, vuol dire che su base annua ci sono 10 milioni di persone (un sesto della popolazione totale, bambini e centenari compresi) che vengono assunte, licenziate, perdono e cercano il lavoro. Visto che in larga parte si tratta degli stessi posti di lavoro, ci troviamo di fronte ad una schifezza indecente voluta dal governo con il JOBS ACT in ossequio ai desideri di confindustria che vuole ricattare i lavoratori a suo piacimento. Parallelamente aumentano i licenziamenti fatti dai padroni e crollano i contratti a tempo indeterminato che non hanno più i regali di prima. Se Renzi è di sinistra io sono giapponese!”

Pubblicato
08.09.2016
Moni Ovadia

Pomigliano. Il dramma dimenticato dei lavoratori licenziati da Marchionne dopo le proteste per le condizioni di lavoro in fabbrica
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La vicenda dei lavoratori della Fca (già Fiat) di Pomigliano-Nola che si sono suicidati o hanno commesso gesti estremi a causa del perdurare di condizioni di lavoro insostenibili sul piano materiale e psicologico è nota , così come è conosciuto «l’happening» che ha messo in scena la rappresentazione del suicidio dell’Ad Sergio Marchionne per «estremo rimorso», azione di provocazione e di satira atta ad evocare i gesti disperati dei compagni di lavoro. Questa rappresentazione ha dato il motivo all'azienda di licenziare gli operai che hanno inscenato il suicidio in effigie di Sergio Marchionne.
I lavoratori licenziati si sono rivolti al tribunale del lavoro per per fare revocare il provvedimento che a mio parere ha tutti i tratti della rappresaglia. Il tribunale del lavoro, sia in primo grado che nel ricorso di competenza, ha dato ragione all'Azienda con questa fattispecie di motivazione: «un intollerabile incitamento alla violenza (…)una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro gravissimo nocumento morale all'azienda e al suo vertice societario, da ledere irreversibilmente (sic!) il vincolo di fiducia sotteso al rapporto di lavoro».
In seguito, nel riesame del ricorso, il tribunale di Nola ha confermato il primo giudizio. In questa motivazione si legge che le manifestazioni messe in atto: «hanno travalicato i limiti del diritto di critica e si sono tradotte in azioni recanti un grave pregiudizio all'onore e alla reputazione della società resistente, arrecando alla stessa, in ragione della diffusione mediatica che esse hanno ricevuto, anche un grave nocumento all'immagine».
Ritengo che queste parole – dato che le sentenze non si discutono – meritino un’analisi spassionata per trarne un ammaestramento non solo sullo specifico dell’accaduto ma anche di carattere generale e persino universale. L’azienda ritiene che l’azione drammatica della messa in scena di un suicidio in effigie rechi nocumento all'immagine, pregiudizio all'onore, alla reputazione e nuovamente nocumento morale.
Il suicidio reale, carnale, tragico e «violento» di tre esseri umani invece non recherebbe, a quanto pare, danno di sorta al buon nome dell’azienda. Forse i vertici ritengono essere quei suicidi indipendenti dalle condizioni lavoro, dalla cassa integrazione, dallo stillicidio dell’erosione continua dei diritti sociali, dal peggioramento inarrestabile delle prospettive di vita, forse si tratta di un’epidemia suicidaria dovuta all'insostenibile pressione del benessere come in Svezia, visto che il numero di suicidi nel reparto di Nola di quella leggendaria azienda ex vanto dell’italico genio ex italico, pare essere di cento volte superiore alla media nazionale.
Il capo della Fca, imprenditore, pare non cogliere il senso di un suicidio reale quando è causato da disperanti e umilianti condizioni di vita. Mi permetto di suggerirgliene uno servendomi del linguaggio usato da un suo collega meno fortunato di lui che si è tolto la vita a seguito dei morsi della crisi che lo ha rovinato. Ai familiari ha lasciato uno scritto lapidario per spiegare le ragioni del suo gesto: “la dignità è più importante della vita!”. Dovrebbe essere semplice da capire, la vita senza dignità cessa di essere tale per diventare sopravvivenza.
Da noi in Italia non c’è stato un dibattito serrato, profondo e diffuso sul concetto di dignità come è accaduto invece in Germania a partire dalla redazione della Costituzione pensata e ratificata all'indomani della micidiale esperienza nazista. Il primo articolo di quella carta recita: «Die Würde des Menschen ist unantastbar. Sie zu achten und zu schützen ist Verpflichtung aller staatlichen Gewalt». (La dignità umana è intangibile. Rispettarla e proteggerla è obbligo di ogni potere statale). Ecco quale è il primo è fondante merito della giustizia sociale come del resto proclama anche il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
L’attacco portato allo statuto dei lavoratori è un attacco all'idea stessa di dignità del lavoratore nel lavoro e nella vita. È da qui che è necessario ripartire chiedendoci «se questo è un operaio», che è privato dei diritti, che vive sotto ricatto, a cui non è concesso di progettare la propria esistenza e di costruire un futuro migliore per i propri figli, che non può neppure protestare con il legittimo linguaggio della provocazione concesso ad ogni disegnatore satirico, a cui per non perdere il posto si chiede di accettare la condanna alla disperazione senza alzare la testa, come l’ultimo dei servi.

Pubblicato il 2 set 2016
di Massimo Villone

Nessuno avrebbe dubitato, ancor prima di Catania, che in uno scontro diretto Massimo D’Alema avrebbe lasciato Paolo Gentiloni al palo. Ma sorprende piacevolmente che la platea di una festa dell’Unità – luogo che si vuole militarizzato per il Sì – abbia a maggioranza indicato il No. Certo, i presenti potevano essere selezionati in funzione degli ospiti. Ma è bastato a far aleggiare lo spettro di una scissione nel Partito democratico. Nessuno si spaventi.
Sembrerebbe un argomento da fine del mondo, come quelli portati per il Sì da poteri piccoli e grandi italiani e stranieri – da Confindustria a J.P. Morgan – accomunati dal non aver nulla a che fare con la democrazia e la sinistra. Ma il Pd la scissione l’ha già fatta con la sua militanza, la sua storia, e quel poco di identità che era riuscito a raccattare. Basta guardare al crollo delle tessere, ai circoli chiusi o desolatamente vuoti, e da ultimo alla palese debolezza nel dibattito referendario.
La bibbia del marketing ci dice che nessuna campagna pubblicitaria può garantire il successo duraturo di un prodotto che sia spazzatura. E alla fine il testimonial non trascina quel prodotto, ma ne viene affondato. È quel che succede per la legge Renzi-Boschi.
Fallito il blitz plebiscitario di Renzi, ora il risultato sarà comunque a suo danno. Aveva bisogno di un trionfo, ed è ormai certo che non ci sarà. Se anche vincesse il sì di stretta misura, Renzi – con chi ha voluto la riforma – non sarebbe lo statista riformatore, ma quello che ha scassato la Costituzione e diviso il paese.
D’altra parte, il prodotto che vorrebbe venderci è davvero spazzatura. Una conferma viene dall’identico e tralatizio copione che i sostenitori del sì portano in questo avvio di campagna referendaria. Consideriamo i due argomenti che tipicamente aprono e chiudono i loro interventi: riduzione dei costi della politica, necessità del cambiamento.
Riduzione dei costi della politica
Nessuno osa riprendere la proposta renziana di destinare ai poveri 500 milioni di euro risparmiati. È ormai inoppugnabile che non esistono. La valutazione più favorevole a Renzi che viene da sedi non sospette di pulsioni antigovernative rimane sotto i 48 milioni annui per la riforma del senato. Il che, facendo i conti su circa 50 milioni di aventi diritto al voto, significa che ogni elettore ed elettrice in Italia risparmierebbe con il senato riformato circa 96 centesimi di euro ogni anno. Meno di una tazza di caffè al bar. Si dirà: ma è comunque un risparmio. Certo, ma è un risparmio che costa agli italiani il diritto di votare per i propri rappresentanti in un ramo del parlamento. Per Renzi, il diritto di voto vale meno di un caffè all’anno. L’avevamo sospettato.
Si dice poi: viene comunque ridotto il ceto politico. Vero. Ma il taglio di un pugno di senatori è una goccia nel mare, senza contare che la qualità pesa assai più del numero. E allora come giustificare la concessione del laticlavio senatoriale e di tutte le connesse prerogative dei parlamentari per perquisizioni, intercettazioni, arresti, al ceto politico più indagato del paese, quello dei consiglieri regionali? E senza contare, ancora, che assai più del ceto politico in senso stretto grava sul paese il sottobosco clientelare di prebende, consulenze, poltrone e strapuntini che prospera intorno a quel ceto. Sul sottobosco si dovrebbe anzitutto intervenire col lanciafiamme, per usare una espressione cara a Renzi.
Necessità del cambiamento
Di solito è l’ultimo argomento: è comunque tempo di cambiare. È scomparsa la bestialità di una riforma attesa da settanta anni, che presupponeva l’intento di cambiare la Costituzione prima ancora di scriverla. Più modestamente, si sente ora misurare l’attesa in 15, 20, 30 anni. Più o meno il tempo di una macchina d’epoca. Ora, se il proprietario di una bella macchina d’epoca, che avesse retto il sole, la pioggia e la neve, e ancora potesse affrontare viaggi lunghi e difficili, si sentisse proporre di cambiarla con un catorcio di ultima generazione, non esiterebbe a dire no. Anzi, guarderebbe il proponente con sospetto. Lo stesso è per la Costituzione vigente e la Renzi-Boschi. Da non pochi di quelli che l’hanno votata non compreremmo mai una macchina usata. Possiamo mai comprare una Costituzione?
Leggiamo che D'Alema è al lavoro su una proposta di riforma più snella. Nulla di più facile. Basterebbero poche righe per lasciare la fiducia alla sola Camera dei deputati (articolo 94), ridurre i deputati a 400 e i senatori a 200 lasciando il senato elettivo (articoli 56 e 57), togliere la copertura costituzionale alle province (articolo 114), sopprimere il Cnel (articolo 99), correggere i più palesi errori del Titolo V riformato nel 2001 (articolo 117), limitare gli emolumenti ai componenti delle istituzioni regionali (articolo 122). Al più, 5 o 6 articoli e un paio di centinaia di parole, invece dei 47 articoli e delle oltre 7.000 (settemila) parole della Renzi-Boschi, con risultati pari ed anzi migliori.
Vogliamo aiutare. Domattina rinunciamo tutti al nostro primo caffè al bar. Poi, comunichiamo a palazzo Chigi che per la riforma abbiamo già dato, persino più di quanto ci spettasse. Il resto, ovviamente, è mancia.

Non è ,ovviamente, solo un problema italiano. La disoccupazione giovanile rimane alta a livello globale e i dati sembrano indicare che sia destinata a crescere ulteriormente. Lo dice un rapporto recentemente pubblicato dall'internazional Labor Organization (ILO), che mette anche in guardia sul fatto che pure i giovani che lavorano si trovano spesso in situazioni di semi-povertà a causa di lavori precari e malpagati e che la percentuale di giovani che vogliono emigrare per sempre dal proprio paese è in costante crescita.

I dati dell'ILO ci dicono che a livello globale il tasso di disoccupazione dei giovani fra i 15 i 24 anni è salito dal 12.9 al 13.1 per cento, molto vicino quindi al picco toccato nel 2013 (13.2 per cento). Si noti che l'Italia è ben sopra questa media, visto che il suo tasso è attorno al 40 per cento (dati Istat).

Un risultato trainato dal brusco arresto della crescita del fenomeno nei paesi emergenti come Russia, Brasile e Argentina, ma anche i paesi occidentali non vanno tanto meglio, visto che ci si aspetta che la disoccupazione cresca nel 2016 per poi diminuire solo dello 0.2 per cento nel 2017.

Il rapporto sottolinea poi che anche per i giovani che lavorano la situazione non è molto migliore. Essi si trovano spesso bloccati in situazioni contrattuali ultra precarie e malpagate, col risultato che a livello globale ben il 38 per cento dei giovani che lavora si trova in una situazione di povertà.
Il problema è drammatico nell'Africa Sub-sahariana (70 per cento), Asia meridionale (49 per cento) e nei paesi arabi (39 per cento), ma anche nei paesi occidentali la situazione non è affatto positiva. Ad esempio nel 2014 nell'Unione Europea il 12.9 per cento dei giovani lavoratori si trovava a rischio di povertà.

Non sorprendentemente cresce dunque il numero dei NEET, i giovani che “non studiano, non lavorano e non guardano la TV”, come cantavano i CCCP.
L'evidenza empirica disponibile per 28 paesi in tutto il mondo ci dice infatti che circa un quarto dei giovani fra i 15 e i 29 anni non studia né lavora, una percentuale enorme. Secondo uno studio dell'Università di Milano, l'Italia con il suo 26 per cento si trova al primo posto in Europa.

Gli ennesimi segnali di un'economia globale che ormai si trova in una situazione permanente di stagnazione, e di come uno degli aspetti di questa crisi sia stato un attacco globale senza precedenti alle fasce giovanili della società.

Inutile stupirsi se l'ultimo aspetto sottolineato dal rapporto dell'ILO è che in questa situazione cresce il desiderio dei giovani di emigrare.
Nel 2015 quasi 51 milioni di migranti avevano fra i 15 e i 29 anni, e più della metà di essi risiedeva originariamente in paesi contraddistinti da economie “sviluppate”. Complessivamente nel 2015 un quinto dei giovani in questa fascia d'età mostrava la volontà di emigrare permanentemente dal proprio paese. Un risultato strettamente collegato alle condizioni del mercato del (non) lavoro: ad un incremento dell'1 per cento del tasso di disoccupazione giovanile si collega infatti un incremento dello 0.5 per cento della volontà di emigrare.

Da sottolineare, infine, che anche fra i giovani persistono grandi diseguaglianze di genere, il che suggerisce che queste diseguaglianze rischiano di restare radicate anche in futuro. Basti pensare che, a livello globale, solo il 37.3 per cento delle donne lavora o è attivamente in cerca di lavoro, a fronte del 53.9 per cento degli uomini.

Pubblicato il 29 ago 2016
“Il TTIP è fallito”: così il Ministro dell’economia tedesco Sigmar Gabriel
Stop TTIP Italia: “importante risultato, ma non abbassiamo la guardia. E prossimo Consiglio Europeo di Bratislava metta la parola fine su TTIP e CETA”

C’è voluta la dichiarazione del vice cancelliere tedesco e ministro dell’Economia, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, per mettere la parola fine ai negoziati sul TTIP, l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, di cui si è concluso nel luglio scorso a Bruxelles il 14° round negoziale.
In un’intervista alla rete ZDF Gabriel ha dichiarato che i negoziati sul TTIP sono «di fatto falliti perché noi europei non possiamo accettare supinamente le richiesta americane». Un colpo pesante a quei Paesi membri, Italia in testa, che del Trattato Transatlantico era sostenitori in prima persona.
“Una dichiarazione importante perché fa proprie le preoccupazioni della società civile europea e statunitense” dichiara Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop TTIP Italia.“Ma c’è comunque da tenere gli occhi aperti: se Sigmar Gabriel sottolinea ciò che da anni hanno sostenuto Stop TTIP Italia e le altre campagne europee, questo non significa che non possa trattarsi di tattica negoziale. Capiremo cosa accade al Consiglio Europeo di Bratislava di settembre dove, tra l’altro, si parlerà anche del preoccupante Accordo con il Canada, il CETA, già approvato ma che grazie alle pressioni dal basso abbiamo ottenuto che venga ratificato anche dai Parlamenti nazionali, senza esautorare i nostri Parlamentari da una decisione così importante per l’economia del nostro Paese. Da Bratislava dovrà uscire un secco stop al TTIP e al CETA, come richiesto dalla maggioranza dei cittadini europei”.
“La dichiarazione di Sigmar Gabriel dovrebbe aprire un serio dibattito interno all’Europa e al nostro Governo su come vengano decise le priorità politiche ed economiche” sottolinea Elena Mazzoni, tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia. “Ma l’eventuale e auspicato blocco del negoziato TTIP non risolve il problema: l’accordo con il Canada ormai approvato va bloccato in sede parlamentare, facendo mancare la ratifica da parte di alcuni Paesi membri. Hanno sempre presentato il CETA come precursore del TTIP: una sua approvazione presenterebbe molti dei problemi che il TTIP portava con sé, a cominciare dal dispositivo di tutela degli investimenti, la cui riforma non ci rassicura per nulla sulla tenuta dei diritti sociali e ambientali”.
“Una buona notizia, emersa grazie a milioni di persone che si sono opposte e a una pressione dal basso che ha chiesto a gran voce di non derogare sui diritti e sulla qualità” dichiara Marco Bersani, tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia. “Ma un risultato così importante per la società civile non deve farci dimenticare che serve un vero e proprio ribaltamento della politica commerciale europea, ad oggi basata troppo sulla spinta verso la liberalizzazione dei mercati e l’austerità, e troppo poco verso un processo realmente rispettoso delle persone e dell’ambiente”.

da il Manifesto
Norma Rangeri
25.08.2016

Le parole di cordoglio – «l’Italia piange», «il cuore grande dei volontari», «con il cuore in mano voglio dire che non lasceremo da solo nessuno» – pronunciate dal presidente del consiglio ieri mattina in televisione a poche ore dalla tragedia, avrebbero dovuto suscitare condivisione se non le avessimo già sentite ripetere troppe volte per non provare, invece, insofferenza, rabbia, indignazione. Forse perché non c’è altro evento più del terremoto capace di mettere a nudo lo sgoverno del nostro paese, l’incapacità delle classi dirigenti di mettere in campo l’unica grande opera necessaria alla salvaguardia di un territorio nazionale abbandonato all’incuria, alla speculazione, alle ruberie (come i processi del post-terremoto dell’Aquila hanno purtroppo mostrato a tutti noi).

Nessun paese industriale, con un elevatissimo rischio sismico come il nostro, viene polverizzato ogni volta che la terra trema. Le cifre imbarazzanti stanziate un anno dopo l’altro per la sicurezza ambientale nelle leggi finanziarie danno la misura dell’inconsistenza delle politiche di intervento. Dal 2009 a oggi è stato messo in bilancio, ma solo perché in quel momento eravamo stati colpiti dallo spappolamento dell’Aquila, meno dell’1 per cento del fabbisogno necessario alla prevenzione. E’ la cifra di un fallimento storico, morale, politico.

Chiunque capisce che prima di abbassare le tasse alle imprese, prima di distribuire 10 miliardi divisi per 80 euro, bisognerebbe investire per costruire l’unica grande impresa che i vivi reclamano anche a nome dei morti.

Chi ci amministra ha costantemente lavorato alla dissipazione delle nostre risorse comuni. Il paese è allo stremo ma nessuno, nemmeno questo governo, cambia direzione. Con investimenti tecnologici, ripopolamento delle terre interne, salvaguardia del patrimonio culturale, paesistico. E finalmente lavoro per gli italiani, per gli immigrati. Finalmente progetti ambiziosi per uno sviluppo economico di qualità legato ai territori e alle loro istituzioni. Non ci sono soldi? E quanti ne spendiamo per il rattoppo delle voragini materiali e morali?

Purtroppo oltre a temere e piangere ogni volta le vittime della mancata prevenzione (andiamo verso l’autunno, pioverà, saremo esposti al pericolo di frane e alluvioni), dobbiamo aver paura anche della ricostruzione. Nelle pagine dedicate al terremoto pubblichiamo un pro-memoria dei cittadini dell’Aquila che riassume come meglio non si potrebbe i danni, i pericoli aggiunti con gli interventi edilizi post-terremoto. Perché accanto al simbolo della tragedia di sette anni fa, il monumentale palazzo della Prefettura del capoluogo abruzzese, oggi abbiamo l’ospedale di Amatrice colpito perché nemmeno questo edificio era costruito con criteri antisismici. E nessuno dimentica le macerie della scuola di San Giuliano di Puglia con i suoi piccoli rimasti sepolti, come i bambini morti ieri sull’Appennino.

Il numero delle vittime sale ogni ora, persone uccise dall’incuria di chi aveva il dovere di provvedere e non lo ha fatto, nemmeno per salvaguardare scuole, ospedali, edifici pubblici. Rivedremo le tendopoli, assisteremo allo sradicamento degli abitanti, alla desolazione dell new-town. Speriamo almeno di non dover riascoltare le risate fameliche di chi ora aspetta l’appalto.

È accaduto alla pagina dell’ex vicepresidente della Corte costituzionale Maddalena. Dopo una serie di post molto popolari in cui si criticava la riforma, al gestore sono state impedite le condivisioni. Il giurista ha criticato sul social network la ministra Boschi e polemizzato con l’articolo del Financial Times

Se parli male della riforma costituzionale Renzi-Boschi, se inviti i cittadini a votare No al prossimo referendum e lo fai attraverso facebook, può capitarti di essere fermato. È successo a uno dei giuristi italiani più conosciuti, Paolo Maddalena. Giudice costituzionale dal 2002 al 2011, Maddalena (80 anni) è stato anche vice presidente della Corte. Adesso è impegnato sul fronte del No al referendum, così come tanti altri costituzionalisti. Ha firmato più di un appello contro la riforma Renzi-Boschi – in particolare quello promosso da Onida firmato anche da 11 ex presidenti della Consulta – in questi giorni di campagna elettorale è spesso invitato nei dibattiti.

Da poco, da metà luglio, Maddalena ha aperto una pagina facebook dedicata a questi argomenti, l’ha chiamata «attuare la Costituzione». Dopo qualche settimana di rodaggio, la pagina ha cominciato ad essere conosciuta nella seconda settimana di agosto. E ha conosciuto un vero boom di visualizzazioni con due post. Il primo del 10 agosto scorso, a commento della «celebre» teoria della ministra Boschi, in base alla quale chi invita a votare No al referendum costituzionale «non rispetta il lavoro del parlamento». «Il parlamento è a servizio del popolo, del quale è rappresentante; è ovvio, quindi, che il rappresentato ha il potere-dovere di controllare l’attività del primo. Da sempre il referendum è stato ritenuto un atto sovrano del popolo, un’attività del tutto libera da qualsiasi condizionamento», ha scritto tra l’altro Maddalena.

Pochi giorni dopo, il 13 agosto, Maddalena ha deciso di rispondere alla serie di articoli pubblicati dalla stampa anglosassone, tutti preoccupatissimi di una eventuale vittoria del No. Il suo post merita di essere riportato per intero. «Secondo il Financial Times la vittoria del No al referendum costituzionale produrrebbe effetti disastrosi per la nostra economia. Sta di fatto invece che il nostro referendum non è la Brexit e non può produrre nessun effetto economico. Dunque si tratta di una grande sciocchezza. Se poi si volesse prendere sul serio quest’affermazione allora non si potrebbe negare che essa costituisce una minaccia per la libertà di voto degli Italiani garantita dall’articolo 48 della Costituzione, secondo il quale “il voto è personale ed eguale, libero e segreto”. Sarebbe allora confermato che la riforma giova soltanto alla finanza come richiesto da una nota lettere della J.P. Morgan, e non agli interessi del popolo italiano. Un’altra ragione dunque per votare No con assoluta convinzione, nonostante il silenzio sull’argomento da parte dei nostri organi istituzionali».

Quest’ultimo post è stato visto da oltre 20mila persone. La pagina di Maddalena ha cominciato a essere conosciuta. Probabilmente troppo, per le regole di facebook, per i suoi algoritmi o per chissà quali altri criteri. Non è dato sapere di più perché al gestore della pagina è arrivata solo una breve e perentoria notifica: «Ti è stato temporaneamente impedito di pubblicare nei gruppi». Un blocco che dovrebbe scadere il prossimo 25 agosto. In questo tempo facebook farà le sue verifiche probabilmente indotte dalla improvvisa popolarità della pagina. Che però è una pagina. come abbiamo detto. recentissima. In questo modo è stata fermata sul nascere e ha dovuto immediatamente scontare un dimezzamento delle visualizzazioni.
La pagina «Attuare la Costituzione» continua però a essere raggiungibile e si possono leggere anche i nuovi post di Maddalena. Che così commenta questa disavventura: «Sono molto sorpreso, facebook non ci ha spiegato la ragione di questa interruzione e spero che la questione venga rapidamente risolta». «Sul reale contenuto delle riforma – aggiunge – ci vengono raccontate molte bugie. Secondo la ministra Boschi, addirittura, la vittoria del Sì aiuterebbe il nostro paese a combattere il terrorismo. C’è molto bisogno di spiegare bene le ragioni del No perché questa riforma costituzionale non persegue l’interesse dei cittadini italiani».
21.08.2016
da il Manifesto

Sergio Mattarella ha fatto il discorso di apertura al meeting di Comunione e Liberazione. Non varrebbe la pena di spendere parole per le banalità delle sue parole, che campeggiano sui titoli dei mass media.
Il fatto scandaloso su cui si dovrebbe discutere è che il Presidente della Repubblica sia andato lì. CL è un'impresa di affari e una organizzazione sempre politicamente schierata. Non è la Croce Rossa nè qualsiasi altra organizzazione almeno formalmente neutrale. CL è organizzazione dell'integralismo cattolico e nello stesso tempo una gigantesca holding di affari sul terreno dei bisogni sociali. Formigoni, Lupi, Buttiglione sono i suoi parlamentari piu conosciuti, ma CL è andata oltre loro, prima sostenendo gli anni ruggenti dei governi Berlusconi, poi facendo lo stesso con Renzi.

Il presidente Mattarella non avrebbe dovuto andare all'assemble di Rimini, avrebbe dovuto mandare un messaggio come normalmente fa con i congressi dei partiti, di sindacati, delle organizzazioni sociali, ambientali, del volontariato .
Non mi risulta che Mattarella abbia partecipato al recente congresso dell'Anpi, nè tantomeno ad una assemblea di Emergency o dell'Arci. Non sono queste organizzazioni meritorie di una sua prolusione? O davvero il presidente vuol farci credere che CL sia una istituzione della Repubblica, come il CSM o la Corte dei Conti?

Non c'è nulla che giustifichi l'atto del presidente se non una precisa scelta di campo e di parte che segna un altro degrado del nostro stato costituzionale. Tanto più grave perché non suscita alcuno scandalo in gran parte del sistema politico e dell'informazione.

Non c'è bisogno che Mattarella non dichiari formalmente quale sarà il suo voto al referendum sulla controriforma della Costituzione. I suoi comportamenti concreti dicono a tutti da quale parte egli stia. Da quella di Renzi e di CL che lo sostiene.

di Giorgio Cremaschi
20.08.2016

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