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In evidenza

POLITICA NAZIONALE   POLITICA ITALIANA  

 

17/03/2023

da La Notizia

di Giorgia Martini

 

Una nuova Irpef con tre aliquote. Iva azzerata per i beni di prima necessità. Stop alle comunicazioni nei mesi di agosto e dicembre. Ma soprattutto campo libero agli evasori. Il governo Meloni nella delega con cui si propone di rivoluzionare il fisco, approvata ieri dal Consiglio dei ministri assieme al decreto che fa resuscitare il Ponte di Messina, riesce a infilare quello che in Manovra non era riuscito a far passare. Ovvero depenalizza l’evasione “di necessità” e ammorbidisce le sanzioni per il reato di dichiarazione infedele.

Il governo Meloni nella delega con cui si propone di rivoluzionare il fisco riesce a infilare quello che in Manovra non era riuscito a far passare.

Insomma dopo aver già varato condoni e sanatorie ora Meloni e i suoi spalancano praterie a chi non ha alcuna intenzione di pagare le tasse. La riforma si propone, a parole, di instaurare un rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria nella logica di un dialogo: il cosiddetto ‘Fisco amico’. Ma opposizioni e i sindacati, che già evocano la piazza, ci leggono, nei fatti, solo condoni e favori ai più ricchi.

“Io mi sono rotto le scatole – dice senza giri di parole il segretario Cgil, Maurizio Landini – non ci sto più che sono io che pago le tasse anche per quelli che non le pagano, quando le potrebbero pagare più di me”. “È una baggianata dire che si abbassano le tasse a tutti”: così si “favorisce chi sta meglio, chi ha redditi più alti vedrà maggior guadagno”, va all’attacco la segretaria del Pd, Elly Schlein. “È una riforma recessiva”, denuncia il leader M5S, Giuseppe Conte, pronto a scendere in piazza con i sindacati.

Il provvedimento del governo riscrive l’intero sistema fiscale

Il provvedimento del governo riscrive l’intero sistema, dai tributi ai procedimenti e sanzioni, fino ai testi unici e codici. Per renderlo operativo servirà l’approvazione del testo-cornice dal Parlamento e poi il varo dei decreti delegati – si prevede un orizzonte di due anni – che dovranno contenere anche le coperture finanziarie, che in parte dovrebbero derivare dalla revisione delle attuali 600 tax expenditures: sconti, agevolazioni, bonus.

Confermata la nuova architettura dell’Irpef, con la riduzione delle aliquote da 4 a 3. E se la flat tax per tutti resta un obiettivo di legislatura, per i dipendenti arriva la flat tax incrementale. Per le imprese arriva la nuova Ires a due aliquote per far pagare di meno chi più assume ed investe; si punta poi al graduale superamento dell’Irap con priorità per le società di persone, gli studi associati e le società tra professionisti.

Ci sarà il concordato preventivo biennale e un rafforzamento dell’adempimento collaborativo: “Si riscrivono le regole della lotta all’evasione fiscale – dice il Mef – che diventa preventiva e non più repressiva”. Che tradotto significa liberi tutti con la riscrittura di tutto il sistema sanzionatorio. Per le sanzioni penali si userà l’occhio di riguardo per chi si trova impossibilitato a pagare il tributo per fatti a lui non imputabili: nella valutazione della “rilevanza penale” del fatto si terrà conto anche dei casi in cui siano stati raggiunti accordi in sede amministrativa e giudiziaria.

Sanzioni annacquate per il reato di dichiarazione infedele e agevolazioni a chi dichiara di non poter pagare

È previsto poi un alleggerimento delle sanzioni penali, in particolare quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, per le imprese che aderiscono alla ‘cooperative compliance’, e che hanno tenuto comportamenti non dolosi e lo comunicano subito al Fisco. Altro effetto “premiale” per chi aderisce all’adempimento spontaneo è l’ulteriore riduzione delle sanzioni amministrative (che può arrivare fino all’integrale non applicazione) per i rischi di natura fiscale comunicati preventivamente in modo “tempestivo ed esauriente”.

SANITA' ED AMBIENTE    

 

14/03/2023

da Il Fatto Quotidiano

di Francesco Lo Torto

 

Dopo la lettera-ultimatum con cui quasi 300 professionisti della Toscana hanno minacciato di dimettersi se non dovessero cambiare le cose, alcuni di loro raccontano a ilfattoquotidiano.it come sono costretti a lavorare ogni giorno: dalle barelle ammassate alla scarsa igiene e le attese infinite. Le testimonianze dall'ultima frontiera della sanità pubblica.

 

“Non vogliamo che ci diano più soldi. Vogliamo non sentire più un paziente lamentarsi della sua sofferenza, dopo che da due giorni è sdraiato su una barella in corridoio perché non ci sono posti letto nei reparti”. Paolo (nome di fantasia) è un medico toscano di quasi cinquant’anni. Circa 16 anni fa ha scelto di lavorare in Pronto soccorso. Da allora ha assistito al progressivo demansionamento del suo ruolo e allo smantellamento graduale della medicina d’urgenza. È uno dei firmatari della lettera-ultimatum inviata a governo e Regione per denunciare la crisi in cui versano i Pronto soccorso toscani e di tutto il Paese. “O le cose cambieranno o ci dimetteremo in massa”, hanno scritto 288 camici bianchi, rappresentativi del 90% dei professionisti dei reparti di emergenza-urgenza della Regione. Un documento che non è solo una protesta, ma un manifesto nato dal basso per portare l’attenzione sulla mancanza di personale, la carenza di posti letto e l’assenza di strutture di medicina territoriale in grado di diminuire l’afflusso. I 288 medici hanno scavalcato politica e sindacati per chiedere condizioni di lavoro sostenibili e standard di cura dignitosi per i loro pazienti. E ora non vogliono che la luce si spenga di nuovo.

 

“Non posso dire il mio vero nome, né l’ospedale in cui lavoro, altrimenti domani arriva la direzione a mettermi pressione tramite il primario. I direttori sanitari non vogliono che vengano fuori i problemi, rischierebbero di fare una figuraccia politica”. Paolo spiega al fattoquotidiano.it che, a suo parere, la strada è ormai tracciata: “La sanità pubblica raggiungerà un livello talmente basso da rendere automatica la definitiva privatizzazione. Sta già avvenendo”, dice. Per questo l’aumento di stipendio, individuato dalla politica come la soluzione per mettere a tacere le proteste, è visto solo come un contentino: “Non è che se mi dai mille euro in più sto zitto. Non risolvi la mancanza dei posti letto, o dei farmaci, alzandomi la paga. Tantomeno riduci gli accessi impropri senza filtro ai pronto soccorso”, continua il medico. “La minaccia di dimettersi in massa, che abbiamo inviato alle istituzioni, è una provocazione. Amiamo il nostro lavoro. Ma soprattutto lo conosciamo, a differenza dei direttori sanitari. Loro non hanno mai esercitato, sono lì grazie a una nomina politica. Questo ha trasformato la sanità in un tema squisitamente elettorale. Dopo aver ottenuto il loro piatto caldo, se ne sono fregati”, attacca.

 

Sono i medici, insieme agli infermieri e agli Oss, a fronteggiare la crisi tutti i giorni. Quotidianità fatta di pazienti, soprattutto anziani e cronici, lasciati anche per giorni sulle barelle nei corridoi, in attesa di un posto letto che non c’è. Le persone vanno incontro a deliri da ospedalizzazione, a piaghe da decubito e versano in condizioni igieniche scarse. Inoltre, non hanno accesso al vitto. Questo, infatti, non è previsto dai pronto soccorso perché sono pensati per essere unità operative in cui i pazienti non dovrebbero rimanere a lungo.

 

“Se non erano i parenti a provvedere al cibo, il nostro ospedale offriva ai malati dei panini con il prosciutto. Davano il pane con la crosta a gente che non aveva neanche i denti o che aveva difficoltà a deglutire”: a parlare è Valerio. Anche lui ha scelto l’anonimato per proteggersi dalle ritorsioni. Lavora in un’altra provincia rispetto a Paolo ma, al di là di alcune specificità, la situazione è la stessa. “Noi abbiamo uno stanzone, una sorta di limbo, con 45 persone sdraiate in barelle a poca distanza l’una dall’altra. Neanche un metro – racconta Valerio -. Si lamentano e chiedono aiuto a infermieri e Oss, il cui carico di lavoro è già insostenibile. Deontologicamente parlando è tremendo assistere. Non sono cose degne da paese del G7”. Ogni ospedale prova ad arrangiarsi e a dare qualcosa da mangiare a chi sta aspettando un posto letto nei reparti. Anche perché l’alimentazione è importante per la cura. Perlopiù riescono a distribuire qualche cracker o delle fette biscottate con un tè. A Firenze c’è chi, quando è di turno, ordina le pizze da asporto e distribuisce le fette ai pazienti presenti. “Se i soldi, invece di proporre di darli a me per comprare la mia omertà, li dessero al sistema, non saremmo costretti a questo”, sbotta Valerio. Anche perché a rimetterci sono soprattutto i pazienti. “Le loro condizioni sono peggio delle nostre – continua -. Noi dopo un turno sfinente e svilente torniamo a casa. Loro no”.

 

Si lavora tanto, male, in luoghi non adeguati. L’errore è dietro l’angolo. Alla frustrazione si aggiunge il fardello di poter avere preso una decisione sbagliata. Anche Mario (nome di fantasia) ha firmato la lettera: “Dentro i pronto soccorso c’è gente bravissima, professionalità che ci invidia il mondo intero. Ma ci stanno costringendo a rinunciare”. Mario porta la sua esperienza di medico d’emergenza-urgenza da oltre 16 anni. “Rispetto a quando ho iniziato, la situazione è molto peggiorata. Ora ai pronto soccorso arriva tutta la richiesta della sanità pubblica, senza filtro”. Spiega che non gli fa paura lavorare, fare le notti o i weekend. “Certo, una volta vorremmo poter finire le ferie di un anno”, specifica, “ma soprattutto vogliamo fare il nostro lavoro. Ovvero i medici d’emergenza. Il nostro ruolo dovrebbe essere quello di stabilizzare le urgenze. Invece, la maggior parte del tempo facciamo altro. Rimandiamo cose che dovrebbero essere priorità per noi. Ci occupiamo di pazienti cronici che hanno un dolore addominale da 10 anni e arrivano in pronto soccorso perché non sanno dove andare”. Ed è qui che il privato intercetta il bisogno. Dove non arrivano i medici di base e la medicina territoriale, arriva la visita domiciliare a pagamento, per chi può permettersela. Per gli altri, c’è il pronto soccorso. Praticamente gratis e sempre a disposizione.

 

Così, di anno in anno si moltiplicano i casi di camici bianchi che mollano. Chi passa al privato, lavorando di meno e guadagnando di più, chi prova a cambiare ospedale, e chi decide che preferisce fare tutt’altro e si trasferisce in un altro reparto. Ad aprile nell’ospedale di Paolo andranno via altre quattro persone. La carenza di personale è gravissima, spiega, soprattutto alla luce di tutte le mansioni extra che il sistema sanitario delega ai medici di pronto soccorso. “I professionisti vanno in burnout dopo neanche 20 anni di attività e si licenziano. Magari vanno in Veneto a fare i gettonisti, pagati a peso d’oro con i soldi pubblici”, si lamenta Paolo. Chi resta prova a resistere, prende tempo per vedere se ci saranno dei cambiamenti. Ma, almeno una volta, ci ha già pensato a mollare tutto. Il rischio è che a lavorare nell’urgenza restino solo persone che in realtà vorrebbero fare altro. A cui “tocca”, però, fare questo, come dice Paolo: “Alla prima occasione cercheranno altro e andranno via. Non resterà più nessuno”, conclude.

 

I pronto soccorso sono diventati la prima frontiera della sanità pubblica. E chi ci lavora è d’accordo sul fatto che perdere questa battaglia avrebbe ripercussioni gravi su tutto il sistema. “Nei Paesi in cui non c’è la sanità pubblica è un disastro”, riflette Mario, ricordando le sue esperienze di cooperazione all’estero. E conclude: “Con la pandemia ho pensato che si fosse capita questa cosa. Senza il Sistema Sanitario Nazionale sarebbero morte chissà quante persone. Invece, sono passati tre anni e non è cambiato nulla. È tutto sempre meno sostenibile. Rimanere a lavorare in condizioni come queste è masochismo. Non basterà un aumento di stipendio per tenere insieme i cocci”.

POLITICA ITALIANA

 

13/03/2023

da Left

Giulio Cavalli

 

Magistratura democratica ha esaminato nei dettagli il cosiddetto "Decreto Cutro" sull'immigrazione e ha puntato il dito contro la stretta sulla protezione speciale decisa dal governo Meloni. Che produrrà risultati simili a quelli prodotti da altre inutili leggi repressive

 

Magistratura Democratica analizza il cosiddetto “Decreto Cutro” (il decreto-legge n. 20 del 2023) e dice quello che c’è da dire. In un comunicato stampa la componente dell’Associazione nazionale magistrati punta il dito contro la stretta sulla protezione speciale decisa dal governo Meloni che, scrivono i magistrati, «andrà a colpire persone che in Italia lavorano con contratti regolari, hanno un’abitazione e spesso avevano trasferito qui anche la famiglia. Persone, insomma, ormai parte integrante del sistema sociale del nostro Paese. La riposta ai morti di Cutro non è stata una rivisitazione critica della ratio punitiva e respingente che ha governato le politiche migratorie, ma si propone di estromettere queste persone dal sistema legale, impedire loro – nella volontà del Governo – di chiedere un permesso per protezione speciale».

 

Il risultato, come già avvenuto per altre inutili leggi repressive, scrive Magistratura Democratica, «potrà essere quella di produrre un esercito di irregolari che non potranno essere allontanati, in mancanza di accordi per il rimpatrio con la maggioranza dei Paesi dai quali provengono e che andranno ad alimentare il mercato del lavoro nero e dello sfruttamento o della criminalità, su cui lucrano potentati economici sempre più invadenti, interessati ad abbattere i costi della manodopera (ad esempio nel settore agroalimentare o in quello della logistica)».

 

Un altro passaggio che vale la pena leggere è quello dell’inasprimento delle pene per i trafficanti che Meloni, Piantedosi e Salvini stanno rivendendo come panacea di tutti i mali, tra l’altro dimostrando un’abissale ignoranza su chi siano gli scafisti e sulla differenza con i trafficanti. Scrive Magistratura Democratica: «Anche solo immaginare, infine, che il traffico di esseri umani si combatta con l’innalzamento esorbitante delle pene per i c.d. scafisti, è solo un’illusione che alimenta il mito del panpenalismo, al fine di anestetizzare le paure sociali e tacitare le coscienze, individuando un nemico da combattere, anzi da abbattere. La tecnica legislativa, poi, lascia – ancora un volta – molto a desiderare. La previsione penale, infatti, è strutturata con una formula così ampia e indeterminata che pone seri problemi di aderenza ai principi costituzionali, autorizzando interpretazioni che potrebbe estenderne l’applicazione anche a chi interviene per garantire aiuti umanitari. Applicare questa nuova fattispecie di reato a chi “dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato” pone sullo stesso piano condotte profondamente diverse tra loro, con una pena edittale minima elevatissima».

 

«Anche l’individuazione del nemico da abbattere – scrivono i magistrati – con la sanzione penale è frutto di approssimazione. L’esperienza dei processi penali celebrati contro i c.d. scafisti ci insegna, infatti, che chi si assume il rischio di condurre l’imbarcazione che ospita i migranti è di regola una persona altrettanto vulnerabile, alla quale si affida il timone in cambio della gratuità del viaggio o altri modesti vantaggi. Insomma: un povero tra i poveri, non certo il gestore del traffico e neppure un tassello della criminalità organizzata transnazionale che organizza il traffico di esseri umani. Per i timonieri degli scafi la pena prevista dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è già oggi elevatissima; se, per come è usuale le persone trasportate sono più di 5, la pena prevista va da 5 a 15 anni. Non erano necessari, perciò, né inasprimenti delle pene, né nuove fattispecie di reato che non servono a garantire maggiore sicurezza sociale e non tutelano meglio – neppure indirettamente – la vita delle persone che attraversano il mare cercando una prospettiva dignitosa di futuro».

 

Intanto come accade ogni primavera i “giornali” spingono sull’ondata di “clandestini” che sarebbero in arrivo prossimamente. Sarebbero 685mila secondo Repubblica, 900mila secondo Il Messaggero che riprende una fonte di Fratelli d’Italia. Accade tutti gli anni. Previsioni che puntualmente si rivelano sbagliate (il numero massimo di arrivi in Italia è stato di 108mila). Ma l’importante è concimare la paura. Poi ci sarà sempre un nuovo reato da inventare o un vecchio reato da inasprire per coprire con il panpenalismo l’inettitudine politica.

 

Nella foto: frame del video della conferenza stampa del Consiglio dei ministri, Cutro, 9 marzo 2023

POLITICA ITALIANA

 

12/03/2023

da La Notizia

Redazione

 

Il barcone a largo della Libia con a bordo 47 migranti si è ribaltato. A segnalare quella che rischia di essere una nuova tragedia per l’Italia è Alarm phone. Nel tweet in cui il centralino dei migranti annuncia il ribaltamento si legge anche che “le autorità italiane hanno ritardato consapevolmente i soccorsi e hanno lasciati morire” i migranti. Accuse che fanno seguito a quelle di Mediterranea che ieri aveva detto che “le autorità Italiane da ieri avevano dato istruzioni alle navi mercantili presenti in zona, assumendo coordinamento #Sar. Ma i mercantili si sono limitati a osservare per 24 ore”.

I Soccorsi ai superstiti del barcone

I sopravvissuti, che erano a bordo del gommone che si sarebbe poi rovesciato, come sostiene Alarm phone sono “stati soccorsi da una nave mercantile”. “Dopo il naufragio con molti morti, temiamo che i sopravvissuti, che hanno visto i loro amici morire prima di essere soccorsi da una nave mercantile, saranno costretti ad andare in Libya o Tunisia dove li attendono condizioni disumane. Chiediamo che tutti i sopravvissuti siano portati in un posto sicuro in Europa”, si legge sul profilo twitter di Alarm Phone.

POLITICA ESTERA

 

12/03/2023

da Remo Contro

Remocontro

 

Una carta sulla «polonizzazione» del campo euroatlantico su Limes. La carta fotografa il rafforzamento del fronte orientale dell’Alleanza Atlantica, di cui la Polonia è fulcro. Una sorta di prologo alla ‘Polonia imperiale’ che Limes sta per proporci.

 

Allineamento strategico Usa-Polonia

«La Polonia e gli Stati Uniti attraversano un momento di allineamento strategico, in cui molti dei rispettivi obiettivi geopolitici possono essere soddisfatti grazie al reciproco benché asimmetrico aiuto». Provando a tradurre in linguaggio corrente, gli Stati Uniti vogliono appaltare la difesa del Vecchio Continente che loro insistono a ritenere il proprio impero europeo, per concentrarsi sulla competizione per loro più importante, che è quella con la Cina.

Una Nato sempre più anti Russia

«Serve una Nato in cui i membri più predisposti ad abbracciare le disposizioni del Numero Uno, volte in questo quadrante al contenimento della Russia, abbiano maggior peso», scrive Limes. E i paesi del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica, anti russi per storia e posizione, sono di fatto elevati a partner privilegiati dagli Stati Uniti. Varsavia avanguardia e capiclasse del fronte antirusso con l’investimento di oltre il 4% del pil nella difesa e con il sostegno a oltranza all’Ucraina invasa.

Dimensione atlantica più di quella europea

La guerra in Ucraina ha favorito nella Polonia e negli altri baltici e centro-orientali ex sovietici il predominio della dimensione atlantica su quella europea. La protezione offerta da Washington si è tradotta in un rafforzamento della presenza militare dell’Alleanza nei paesi della linea di contenimento della Russia. E come mostra la carta di copertina, sono ormai fatti e non teorie. La Polonia detiene il primato con 12.600 truppe Nato, cui si aggiungono i 122.500 delle Forze armate nazionali, con Varsavia sulla strada di diventare prima potenza militare continentale.

In generale, il settore baltico è privilegiato in termini di supporto Natyp-americano rispetto agli alleati meridionali, più lontani dai confini della Russia e pertanto ritenuti meno esposti al rischio di attacco.

Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia

A conferma di ciò, in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia sono schierati già dal 2017 quattro gruppi di battaglia a conduzione euroatlantica guidati rispettivamente da Regno Unito, Canada, Germania e Stati Uniti. Forze di presenza avanzata della Nato (Enhanced Forward Presence), dispiegate nei paesi ritenuti più a rischio di aggressione in seguito all’annessione russa della Crimea, è stata decisa la formazione di altri quattro gruppi in Slovacchia, Bulgaria, Ungheria e Romania, sul fianco orientale dell’Alleanza.

Fronte anti russo ‘polonizzato’

Gli otto paesi da cui è composto il fronte antirusso, formano lo scheletro della Nato desiderata da Washington, che –a voler esagerare-, dovrebbe arrivare a lambire mar Baltico, Me Nero e Adriatico, «come prescritto dal progetto storico-strategico polacco dei Tre Mari», di cui nessuno in casa occidentale a somnp ad oggi ritenuto importante segnalarci, almeno tra le ipotesi.

I tre mari e l’Adriatico rubato

Con l’abbandono delle neutralità finlandese e svedese, il Baltico è ormai Lago Atlantico a tutti gli effetti. «Così come l’Adriatico , su cui l’Italia non esercita un’influenza decisiva e che rimane a diposizione degli altri soci euroatlantici», denuncia netto Agnese Rossi, lasciando ai nostri incubi immaginare Trieste e Venezia sulla linea del fronte. Con il Mar Nero, oggi di dominio turco e russo, domani agganciabile al fianco orientale dell’Alleanza via Romania.

Ma Nato americana del Nord-Est

La carta evidenzia lo spostamento a nord-est del baricentro strategico del Vecchio Continente. Con il rafforzamento del fronte orientale della Nato promosso dagli americani che eleva la ‘Nuova Europa’ mentre declassa gli ‘europei occidentali’, noi italiani assieme e molti altri, che forse avremmo qualcosa da dire, salvo diversi ordini ricevuti. Con Varsavia che da subito ne trae vantaggio soprattutto in chiave antitedesca.

EDITORIALI E COMMENTI

 

11/03/2023

da La Notizia

Gaetano Pedullà

 

Se il buon giorno si vede dal mattino, il nuovo corso del Pd è persino peggio del vecchio. Elly Schlein eletta a furor di popolo segretaria contro l’ex renziano Bonaccini – espressione di quel sistema correntizio e di potere che ha fatto scappare treni di elettori – sceglie proprio il governatore emiliano per la presidenza del Partito. La mossa, che serve a scongiurare la diaspora dei cosiddetti riformisti, ha la benedizione persino di un padre nobile della Sinistra, come Romano Prodi. Ci aspettavamo, insomma, il nuovo che avanza e ci ritroviamo invece con l’avanzo del vecchio.

 

Un pessimo viatico per la possibile alleanza delle principali forze di opposizione, in alternativa all’armata Brancaleone delle destre. E d’altra parte, al di là delle bandiere sottratte ai 5 Stelle barando – come nel caso del Salario minimo, che oggi sarebbe obbligatorio se non fosse stato per il muro alzato proprio dagli amici di Bonaccini, insieme a Calenda, alla Cgil e Confindustria – le distanze tra i dem e il Movimento restano fortissime. A partire dal continuare ad armare Kiev piuttosto che assumere una posizione verticale con Usa e Nato per cercare davvero una soluzione diplomatica con Mosca.

 

Un solco che diventa ancora più profondo sui territori, dove una classe dirigente del Pd inamovibile garantisce quel sistema di potere che ha schifato gli stessi elettori del partito, tant’è vero che se fosse stato per i ras locali ora avremmo Bonaccini al Nazareno. Con la sua mossa, dunque, Elly tradisce chi l’ha votata. E sui tradimenti i 5S con Letta hanno già dato.

POLITICA ESTERA

 

10/03/2023

da Remo Contro

rem

 

Netanyahu parte per Roma assediato dalla protesta. Arriva in elicottero all’aeroporto, per evitare i blocchi stradali. ‘Giornata nazionale di resistenza in terra, aria e mare’ indetta dalle organizzazioni contrarie alla riforma giudiziaria voluta dal governo di destra.
Pro memoria per il governo italiano a sua volta di destra e di non lontanissime memorie fasciste. E in parte a sua consolazione, grazie all’attenzione di Alberto Negri.
«L’amico Eric Salerno, autore di ‘Mossad, base Italia’, mi ricorda che Netanyahu, oggi a Roma, è figlio di Benzion segretario di Jabotinskj amico di Mussolini che gli consentì di fondare un’accademia navale ebraica a Civitavecchia dove sulle divise c’erano il fascio e la stella di Davide. Jabotinskj per altro non aderì mai ufficialmente al fascismo».

 

Alleanza politica e militare ancora più stretta Italia Israele?

Visita politicamente difficile per tutti i protagonisti, anche se gli affari sono affari e quelli sulle armi, in questa fase della storia, diventano strategici come segnala critico ‘Pagine Esteri’. Ritorno di Natanyahu in Italia dopo 8 anni, che già dice qualcosa. Politica della difesa, e politica in difesa. Con piccoli altarini scoperti. «L’Aeronautica Militare d’Israele è stata schierata diverse volte in Sardegna e ha svolto esercitazioni di notevoli dimensioni con l’Aeronautica italiana», riporta una nota del Ministero della Difesa israeliano del 2 novembre 2018 e ci riferisce Antonio Mazzeo.

Addestramento incrociato

Di più: «L’Aeronautica Militare italiana è impegnata ad addestrare i piloti israeliani all’International Training Centre (ITC) di Pisa per l’abilitazione sul velivolo C-130J ‘Super Hercules’». In cambio, personale italiano alla base aerea di Palmachim (città di Rishon LeZion) per conduzione dei velivoli a controllo remoto, i droni, per intenderci.

F35 italiani nel Negev

A fine luglio 2022 quattro cacciabombardieri F-35 del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di Amendola (Foggia) sono stati inviati nel deserto del Negev per una complessa esercitazione aerea (Lightning Shield, Scudo di Fulmine) con i velivoli “cugini” delle forze armate israeliane (gli F-35I “Adir” del 118° Squadrone Sud e del 140° Golden Eagle, predisposti per il trasporto di testate atomiche). Due mesi prima di Scudo di Fulmine, i cacciabombardieri israeliani erano stati impegnati in una lunga attività addestrativa in cui erano stati simulati attacchi contro l’Iran con l’impiego di armi nucleari.

Nuove tecnologie e sistemi d’arma

Visite di alti ufficiali italiani ad alcune delle più importanti basi militari israeliane, come il centro logistico-manutentivo della base aerea di Tel-Nof (nei pressi della città di Rehovot, regione centrale) e lo scalo aereo di Nevatim, quartier generale degli squadroni dell’Israeli Air Force dotati dei nuovi cacciabombardieri a capacità nucleare F-35 e dei sofisticati velivoli di intelligence e riconoscimento Gulfstream G-550.

Gli affari sono affari

Nel 2012 Israele ha acquistato 30 caccia-addestratori M-346 ‘Master’ prodotti a Venegono Inferiore negli stabilimenti di Leonardo/Finmeccanica SpA. I velivoli sono stati assegnati per preparare i piloti ai cacciabombardieri di nuova generazione, ma sono stati utilizzati anche per attacchi al suolo con bombe e missili aria-terra o antinave. L’Aeronautica italiana ha ricambiato acquistando lo scorso anno in Israele due sofisticati velivoli spia CAEW (Conformal Airborne Early Warning & Control System) sulla piattaforma del jet Gulfstream G550 sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, modificato e potenziato da Elta Systems Ltd, dell’Israel Aerospace Industries. Valore della commessa 550 milioni di dollari, con fornitura dei servizi di supporto e logistica a terra.

Gruppo Leonardo/Finmeccanica

Ma sono soprattutto i manager del gruppo Leonardo a sperare in un fruttuoso esito della visita di Netanyahu. Dopo aver venduto alle forze armate israeliane elicotteri multiruolo AgustaWestland AW119, i caccia-addestratori M-346 ‘Master’, tecnologie di telecomunicazione, nell’ultimo biennio le relazioni della holding italiana con le aziende militari israeliane si sono fatte fittissime al punto che il 21 giugno 2022 la controllata statunitense Leonardo DRS con quartier generale ad Arlington, Virginia, si è fusa con RADA Electronic Industries Ltd., con sede a Netanaya (vicino Tel Aviv), specializzata nella produzione di radar tattici militari e software avanzati.

Fondata nel 1970, RADA Electronic Industries Ltd. occupa più di 250 dipendenti e possiede anche un centro di ricerca nell’High-Tech Park di Beer’Sheva (Negev) e uno stabilimento nella città settentrionale di Beit She’an.

POLITICA  NAZIONALE  POLITICA ITALIANA

 

09/03/2023

da La Notizia

 

La leader accusata di essere troppo ruvida è diventata morbida, morbidissima. Praticamente un’ombra. Giorgia Meloni ha fatto il pieno di voti in questi ultimi anni alzando la voce, sempre e comunque, inseguendo ossessivamente la sovraesposizione su tutti i temi. C’è da presumere, senza bisogno di essere fini analisti, che tra i suoi voti abbia covato l’esasperazione di vedere – “finalmente”, hanno pensato i suoi elettori – “qualcuno che dice le cose come stanno”. Il “finalmente” è la benzina del nuovismo per cui qualsiasi leader mai stato prima al governo gode di un carico di speranza inimmaginabile per chi ci è già passato.

Ossessionata dal consenso, Giorgia Meloni manda allo sbaraglio i ministri. Così è diventata regina nell’arte di imboscarsi.

Meloni imperversava sui social urlando contro le accise della benzina. Ci si sarebbe aspettato che nostra signora dell’indignazione avesse preso di petto la questione del prezzo dei carburanti, avrebbe mostrato lo stesso piglio contro la lobby del petrolio oltre a scardinare le maledette accise. Non l’ha fatto (in politica accade di non poter fare cose che si vorrebbero fare o banalmente di non riuscirci) ma soprattutto è scomparsa.

 

Nascosta dal paravento del suo ruolo istituzionale che – a detta dei suoi – le impone un nuovo senso della misura. Meloni ha lasciato campo ai suoi ministri e ai sottosegretari (preferibilmente del suo partito) talvolta usati come opposizione al suo stesso governo. Pensateci, anche di fronte alla marea di gente che qualche giorno fa ha manifestato contro il pestaggio fascista di fronte alla scuola di Firenze, nonostante le improvvide uscite del ministro Valditara che ha additato una preside colpevole secondo lui di apologia di antifascismo, la voce chiara e secca di Meloni – quella che ha fatto esultare certe discutibili femministe per l’avvento della “donna forte” – non s’è sentita. In disparte.

Ai tempi di Draghi era proprio Meloni a pretendere che l'ex premier riferisse su tutto ciò che accadeva nel paese

Qualcuno la chiama “saggezza” (non ultimo Adriano Celentano in un’intervista al Corriere) ma non si può non ricordare come ai tempi del governo Draghi fosse proprio Meloni a pretendere che l’ex presidente del Consiglio riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese. Peggio ancora fece nei governi Conte, Gentiloni e Renzi. All’opposizione Giorgia Meloni pretendeva (giustamente o meno) che il presidente del Consiglio si disincagliasse dal suo ruolo istituzionale “per rispondere agli italiani”.

 

Se fosse così la riforma della giustizia e le dichiarazioni del ministro Nordio non hanno meritato una sua presa di posizione. Pochi comunicati, molto sbiaditi e le diplomatiche risposte che non rispondono a nulla e non prendono posizione. La vicenda Donzelli-Delmastro l’ha sfiorata di passaggio, come se non fosse anche la presidente del loro partito. Un capolavoro di nascondimento è l’atteggiamento tenuto sulla strage di Cutro: un video, guardando fissa in camera, in cui come unico contenuto politico riesce a porre una domanda retorica scandalizzata: “Ma davvero credete che non li avremmo salvati?”.

Giorgia Meloni ha una dicharazione , una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali

Sì, hanno risposto in molti. Ma una presidente del Consiglio dovrebbe dare risposte, non porre domande. Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali. Sarà, c’è da scommetterci, fornita di un’ottima dichiarazione perfettamente equilibrista per la farsa del Consiglio dei ministri di oggi a Cutro. Riuscirà a non scontentare gli addolorati e a non far sentire traditi gli xenofobi. Sarà una dichiarazione magica, come al solito, che evoca l’idea che gli elettori si sono fatti di lei (non corroborata dai fatti) e che non offre troppi spunti agli oppositori. “Saggezza”, la chiamano. E invece è solo imboscamento.

 

POLITICA  NAZIONALE  POLITICA ITALIANA

 

08/03/2023

da Left

Giulio Cavalli

 

Nel 2022 sono state 125 le donne vittime di omicidio, +12% rispetto al 2019. È quanto emerge dal report del Dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale

 

Aumentano i casi di omicidio nel 2022 con 319 persone uccise ma il numero delle vittime donne cresce ancora di più (125) con un +12% rispetto al 2019. Anche in ambito familiare-affettivo, a una diminuzione dell’8% degli omicidi commessi, corrisponde un aumento del 10% di quelli con vittime di genere femminile. È quanto emerge dai dati sulle donne vittime di violenza elaborati dal Dipartimento della pubblica sicurezza-Direzione centrale della polizia criminale del Viminale. Nello stesso ambito, invece, risultano in diminuzione sia gli omicidi commessi dal partner o ex partner (-17%) sia il numero delle relative vittime donne che, da 68 del 2019 passano nell’anno appena trascorso a 61, con un decremento che si attesta al 10%. Per quanto riguarda il tasso degli omicidi commessi nel 2022 rapportati alla popolazione residente emerge un tasso medio pari a 0,54 vittime (di entrambi i sessi), ma con un valore più elevato per il genere maschile (0,67) rispetto a quello femminile, che si attesta a 0,41. Il trend del numero degli omicidi commessi è decrescente fino al 2020, ma con un successivo costante incremento fino al 2022, anno che, comunque, fa registrare valori uguali a quelli del 2019.

 

L’azione di contrasto mostra, a partire dal 2020, una flessione della percentuale dei casi scoperti, con il minimo nel 2022: il decremento nell’ultimo anno fa comunque registrare una percentuale di casi scoperti pari all’86%. Gli omicidi con vittime di genere femminile evidenziano nel 2022 un incremento. Si tratta di un trend in aumento dal 2019, anno in cui erano state riscontrate 112 vittime donne, dato che poi cresce progressivamente e nel 2022 sale a 125, nonostante il numero di eventi complessivi (319) sia uguale per i due anni in esame: da un’incidenza che nel 2019 era del 35% si giunge nel 2022 al 39%. Approfondendo l’esame per il solo 2022, emerge che le donne vittime di omicidio costituiscono il 39% del totale; di queste, il 95% erano maggiorenni e il 78% italiane. Focalizzando l’attenzione, in particolare, sull’ambito familiare-affettivo si evidenzia, invece, come, dal 2020, gli omicidi con vittime donne mostrino un costante incremento, a fronte di un trend discendente del dato complessivo. Nell’ambito familiare-affettivo si evidenzia, infatti, come nel 2022 la percentuale delle vittime donne si attesti al 74% dei casi (103 su 140). Inoltre si rileva come, tra le persone uccise dal partner o ex partner, la percentuale di donne raggiunga il 91% (61 su 67), mentre solo nel 9% dei casi le vittime sono uomini. Considerando le sole donne uccise in ambito familiare-affettivo, le stesse sono vittime di partner o ex partner nel 59% dei casi (61 su 103). Numerosi anche i casi in cui risultano uccise per mano di genitori o figli (33%, 34 su 103), mentre è residuale il caso di omicidi commessi da altro parente (8%, 8 su 103). Per quanto attiene al modus operandi, negli omicidi volontari di donne avvenuti in ambito familiare-affettivo si rivela preminente l’uso di armi improprie o armi bianche, che ricorre in 49 casi; in 23 eventi sono state utilizzate armi da fuoco. Seguono le modalità di asfissia-soffocamento-strangolamento (16 omicidi), lesioni o percosse (14 eventi) e avvelenamento in un unico caso.

 POLITICA NAZIONALE POLITICA ITALIANA  

 

07/03/2023

da La Notizia

Gaetano Pedullà

 


La scure sui poveri è arrivata, mentre non c’è traccia dei corsi di formazione e delle altre bugie raccontate prima delle elezioni.

 


Se in Italia ci fosse una Rai che fa servizio pubblico, sarebbe il minimo sindacale chiedere conto al Presidente del Consiglio di tutte le promesse tradite con i suoi elettori. Le ultime due sono a dir poco clamorose: dal blocco navale siamo arrivati ad aumentare i flussi di immigrati (si parla di 200mila ingressi), e dalla sparizione del Reddito di cittadinanza si è finiti a una brutta copia della stessa misura.

 

L’unica sostanziale differenza è che di soldi per la povera gente ce ne saranno molti meno. Qui, invece, l’informazione è talmente sdraiata sul potere che non fa notizia l’amministratore delegato della Rai convocato dal capo del governo, come è accaduto ieri, facendo cadere l’ultima foglia di fico sulla vergogna di una tv in teoria indipendente e vigilata dal Parlamento, ma poi nei fatti a disposizione dell’Esecutivo.

 

Roba che si vede con Putin, Zelensky e i vari regimi in giro per il mondo. Così adesso le milioni di trasmissioni sui furbetti del Reddito di cittadinanza spariranno, mentre gli “occupabili” dovranno accontentarsi di una miseria o tornare a farsi sfruttare per due soldi. Se saranno confermate le anticipazioni di ieri, solo le famiglie con circa settemila euro l’anno di Isee avranno qualcosa, perché le altre, quelle fino a novemila euro l’anno, nella testa della Meloni pasteggiano a ostriche e Champagne.

 

La scure sui poveri, insomma, è arrivata, mentre non c’è traccia dei corsi di formazione e delle altre bugie raccontate prima delle elezioni. Balle di cui la tv privata è complice e quella pubblica sigillo di omertà.

 

Leggi anche : Il Reddito di cittadinanza cambierà nome: diventa Mia. Cala l’importo per gli occupabili (375 euro). Il ministero: “Solo una prima bozza”

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