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POLITICA ITALIANA

 

13/03/2023

da Left

Giulio Cavalli

 

Magistratura democratica ha esaminato nei dettagli il cosiddetto "Decreto Cutro" sull'immigrazione e ha puntato il dito contro la stretta sulla protezione speciale decisa dal governo Meloni. Che produrrà risultati simili a quelli prodotti da altre inutili leggi repressive

 

Magistratura Democratica analizza il cosiddetto “Decreto Cutro” (il decreto-legge n. 20 del 2023) e dice quello che c’è da dire. In un comunicato stampa la componente dell’Associazione nazionale magistrati punta il dito contro la stretta sulla protezione speciale decisa dal governo Meloni che, scrivono i magistrati, «andrà a colpire persone che in Italia lavorano con contratti regolari, hanno un’abitazione e spesso avevano trasferito qui anche la famiglia. Persone, insomma, ormai parte integrante del sistema sociale del nostro Paese. La riposta ai morti di Cutro non è stata una rivisitazione critica della ratio punitiva e respingente che ha governato le politiche migratorie, ma si propone di estromettere queste persone dal sistema legale, impedire loro – nella volontà del Governo – di chiedere un permesso per protezione speciale».

 

Il risultato, come già avvenuto per altre inutili leggi repressive, scrive Magistratura Democratica, «potrà essere quella di produrre un esercito di irregolari che non potranno essere allontanati, in mancanza di accordi per il rimpatrio con la maggioranza dei Paesi dai quali provengono e che andranno ad alimentare il mercato del lavoro nero e dello sfruttamento o della criminalità, su cui lucrano potentati economici sempre più invadenti, interessati ad abbattere i costi della manodopera (ad esempio nel settore agroalimentare o in quello della logistica)».

 

Un altro passaggio che vale la pena leggere è quello dell’inasprimento delle pene per i trafficanti che Meloni, Piantedosi e Salvini stanno rivendendo come panacea di tutti i mali, tra l’altro dimostrando un’abissale ignoranza su chi siano gli scafisti e sulla differenza con i trafficanti. Scrive Magistratura Democratica: «Anche solo immaginare, infine, che il traffico di esseri umani si combatta con l’innalzamento esorbitante delle pene per i c.d. scafisti, è solo un’illusione che alimenta il mito del panpenalismo, al fine di anestetizzare le paure sociali e tacitare le coscienze, individuando un nemico da combattere, anzi da abbattere. La tecnica legislativa, poi, lascia – ancora un volta – molto a desiderare. La previsione penale, infatti, è strutturata con una formula così ampia e indeterminata che pone seri problemi di aderenza ai principi costituzionali, autorizzando interpretazioni che potrebbe estenderne l’applicazione anche a chi interviene per garantire aiuti umanitari. Applicare questa nuova fattispecie di reato a chi “dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato” pone sullo stesso piano condotte profondamente diverse tra loro, con una pena edittale minima elevatissima».

 

«Anche l’individuazione del nemico da abbattere – scrivono i magistrati – con la sanzione penale è frutto di approssimazione. L’esperienza dei processi penali celebrati contro i c.d. scafisti ci insegna, infatti, che chi si assume il rischio di condurre l’imbarcazione che ospita i migranti è di regola una persona altrettanto vulnerabile, alla quale si affida il timone in cambio della gratuità del viaggio o altri modesti vantaggi. Insomma: un povero tra i poveri, non certo il gestore del traffico e neppure un tassello della criminalità organizzata transnazionale che organizza il traffico di esseri umani. Per i timonieri degli scafi la pena prevista dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è già oggi elevatissima; se, per come è usuale le persone trasportate sono più di 5, la pena prevista va da 5 a 15 anni. Non erano necessari, perciò, né inasprimenti delle pene, né nuove fattispecie di reato che non servono a garantire maggiore sicurezza sociale e non tutelano meglio – neppure indirettamente – la vita delle persone che attraversano il mare cercando una prospettiva dignitosa di futuro».

 

Intanto come accade ogni primavera i “giornali” spingono sull’ondata di “clandestini” che sarebbero in arrivo prossimamente. Sarebbero 685mila secondo Repubblica, 900mila secondo Il Messaggero che riprende una fonte di Fratelli d’Italia. Accade tutti gli anni. Previsioni che puntualmente si rivelano sbagliate (il numero massimo di arrivi in Italia è stato di 108mila). Ma l’importante è concimare la paura. Poi ci sarà sempre un nuovo reato da inventare o un vecchio reato da inasprire per coprire con il panpenalismo l’inettitudine politica.

 

Nella foto: frame del video della conferenza stampa del Consiglio dei ministri, Cutro, 9 marzo 2023

POLITICA ITALIANA

 

12/03/2023

da La Notizia

Redazione

 

Il barcone a largo della Libia con a bordo 47 migranti si è ribaltato. A segnalare quella che rischia di essere una nuova tragedia per l’Italia è Alarm phone. Nel tweet in cui il centralino dei migranti annuncia il ribaltamento si legge anche che “le autorità italiane hanno ritardato consapevolmente i soccorsi e hanno lasciati morire” i migranti. Accuse che fanno seguito a quelle di Mediterranea che ieri aveva detto che “le autorità Italiane da ieri avevano dato istruzioni alle navi mercantili presenti in zona, assumendo coordinamento #Sar. Ma i mercantili si sono limitati a osservare per 24 ore”.

I Soccorsi ai superstiti del barcone

I sopravvissuti, che erano a bordo del gommone che si sarebbe poi rovesciato, come sostiene Alarm phone sono “stati soccorsi da una nave mercantile”. “Dopo il naufragio con molti morti, temiamo che i sopravvissuti, che hanno visto i loro amici morire prima di essere soccorsi da una nave mercantile, saranno costretti ad andare in Libya o Tunisia dove li attendono condizioni disumane. Chiediamo che tutti i sopravvissuti siano portati in un posto sicuro in Europa”, si legge sul profilo twitter di Alarm Phone.

POLITICA ESTERA

 

12/03/2023

da Remo Contro

Remocontro

 

Una carta sulla «polonizzazione» del campo euroatlantico su Limes. La carta fotografa il rafforzamento del fronte orientale dell’Alleanza Atlantica, di cui la Polonia è fulcro. Una sorta di prologo alla ‘Polonia imperiale’ che Limes sta per proporci.

 

Allineamento strategico Usa-Polonia

«La Polonia e gli Stati Uniti attraversano un momento di allineamento strategico, in cui molti dei rispettivi obiettivi geopolitici possono essere soddisfatti grazie al reciproco benché asimmetrico aiuto». Provando a tradurre in linguaggio corrente, gli Stati Uniti vogliono appaltare la difesa del Vecchio Continente che loro insistono a ritenere il proprio impero europeo, per concentrarsi sulla competizione per loro più importante, che è quella con la Cina.

Una Nato sempre più anti Russia

«Serve una Nato in cui i membri più predisposti ad abbracciare le disposizioni del Numero Uno, volte in questo quadrante al contenimento della Russia, abbiano maggior peso», scrive Limes. E i paesi del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica, anti russi per storia e posizione, sono di fatto elevati a partner privilegiati dagli Stati Uniti. Varsavia avanguardia e capiclasse del fronte antirusso con l’investimento di oltre il 4% del pil nella difesa e con il sostegno a oltranza all’Ucraina invasa.

Dimensione atlantica più di quella europea

La guerra in Ucraina ha favorito nella Polonia e negli altri baltici e centro-orientali ex sovietici il predominio della dimensione atlantica su quella europea. La protezione offerta da Washington si è tradotta in un rafforzamento della presenza militare dell’Alleanza nei paesi della linea di contenimento della Russia. E come mostra la carta di copertina, sono ormai fatti e non teorie. La Polonia detiene il primato con 12.600 truppe Nato, cui si aggiungono i 122.500 delle Forze armate nazionali, con Varsavia sulla strada di diventare prima potenza militare continentale.

In generale, il settore baltico è privilegiato in termini di supporto Natyp-americano rispetto agli alleati meridionali, più lontani dai confini della Russia e pertanto ritenuti meno esposti al rischio di attacco.

Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia

A conferma di ciò, in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia sono schierati già dal 2017 quattro gruppi di battaglia a conduzione euroatlantica guidati rispettivamente da Regno Unito, Canada, Germania e Stati Uniti. Forze di presenza avanzata della Nato (Enhanced Forward Presence), dispiegate nei paesi ritenuti più a rischio di aggressione in seguito all’annessione russa della Crimea, è stata decisa la formazione di altri quattro gruppi in Slovacchia, Bulgaria, Ungheria e Romania, sul fianco orientale dell’Alleanza.

Fronte anti russo ‘polonizzato’

Gli otto paesi da cui è composto il fronte antirusso, formano lo scheletro della Nato desiderata da Washington, che –a voler esagerare-, dovrebbe arrivare a lambire mar Baltico, Me Nero e Adriatico, «come prescritto dal progetto storico-strategico polacco dei Tre Mari», di cui nessuno in casa occidentale a somnp ad oggi ritenuto importante segnalarci, almeno tra le ipotesi.

I tre mari e l’Adriatico rubato

Con l’abbandono delle neutralità finlandese e svedese, il Baltico è ormai Lago Atlantico a tutti gli effetti. «Così come l’Adriatico , su cui l’Italia non esercita un’influenza decisiva e che rimane a diposizione degli altri soci euroatlantici», denuncia netto Agnese Rossi, lasciando ai nostri incubi immaginare Trieste e Venezia sulla linea del fronte. Con il Mar Nero, oggi di dominio turco e russo, domani agganciabile al fianco orientale dell’Alleanza via Romania.

Ma Nato americana del Nord-Est

La carta evidenzia lo spostamento a nord-est del baricentro strategico del Vecchio Continente. Con il rafforzamento del fronte orientale della Nato promosso dagli americani che eleva la ‘Nuova Europa’ mentre declassa gli ‘europei occidentali’, noi italiani assieme e molti altri, che forse avremmo qualcosa da dire, salvo diversi ordini ricevuti. Con Varsavia che da subito ne trae vantaggio soprattutto in chiave antitedesca.

EDITORIALI E COMMENTI

 

11/03/2023

da La Notizia

Gaetano Pedullà

 

Se il buon giorno si vede dal mattino, il nuovo corso del Pd è persino peggio del vecchio. Elly Schlein eletta a furor di popolo segretaria contro l’ex renziano Bonaccini – espressione di quel sistema correntizio e di potere che ha fatto scappare treni di elettori – sceglie proprio il governatore emiliano per la presidenza del Partito. La mossa, che serve a scongiurare la diaspora dei cosiddetti riformisti, ha la benedizione persino di un padre nobile della Sinistra, come Romano Prodi. Ci aspettavamo, insomma, il nuovo che avanza e ci ritroviamo invece con l’avanzo del vecchio.

 

Un pessimo viatico per la possibile alleanza delle principali forze di opposizione, in alternativa all’armata Brancaleone delle destre. E d’altra parte, al di là delle bandiere sottratte ai 5 Stelle barando – come nel caso del Salario minimo, che oggi sarebbe obbligatorio se non fosse stato per il muro alzato proprio dagli amici di Bonaccini, insieme a Calenda, alla Cgil e Confindustria – le distanze tra i dem e il Movimento restano fortissime. A partire dal continuare ad armare Kiev piuttosto che assumere una posizione verticale con Usa e Nato per cercare davvero una soluzione diplomatica con Mosca.

 

Un solco che diventa ancora più profondo sui territori, dove una classe dirigente del Pd inamovibile garantisce quel sistema di potere che ha schifato gli stessi elettori del partito, tant’è vero che se fosse stato per i ras locali ora avremmo Bonaccini al Nazareno. Con la sua mossa, dunque, Elly tradisce chi l’ha votata. E sui tradimenti i 5S con Letta hanno già dato.

POLITICA ESTERA

 

10/03/2023

da Remo Contro

rem

 

Netanyahu parte per Roma assediato dalla protesta. Arriva in elicottero all’aeroporto, per evitare i blocchi stradali. ‘Giornata nazionale di resistenza in terra, aria e mare’ indetta dalle organizzazioni contrarie alla riforma giudiziaria voluta dal governo di destra.
Pro memoria per il governo italiano a sua volta di destra e di non lontanissime memorie fasciste. E in parte a sua consolazione, grazie all’attenzione di Alberto Negri.
«L’amico Eric Salerno, autore di ‘Mossad, base Italia’, mi ricorda che Netanyahu, oggi a Roma, è figlio di Benzion segretario di Jabotinskj amico di Mussolini che gli consentì di fondare un’accademia navale ebraica a Civitavecchia dove sulle divise c’erano il fascio e la stella di Davide. Jabotinskj per altro non aderì mai ufficialmente al fascismo».

 

Alleanza politica e militare ancora più stretta Italia Israele?

Visita politicamente difficile per tutti i protagonisti, anche se gli affari sono affari e quelli sulle armi, in questa fase della storia, diventano strategici come segnala critico ‘Pagine Esteri’. Ritorno di Natanyahu in Italia dopo 8 anni, che già dice qualcosa. Politica della difesa, e politica in difesa. Con piccoli altarini scoperti. «L’Aeronautica Militare d’Israele è stata schierata diverse volte in Sardegna e ha svolto esercitazioni di notevoli dimensioni con l’Aeronautica italiana», riporta una nota del Ministero della Difesa israeliano del 2 novembre 2018 e ci riferisce Antonio Mazzeo.

Addestramento incrociato

Di più: «L’Aeronautica Militare italiana è impegnata ad addestrare i piloti israeliani all’International Training Centre (ITC) di Pisa per l’abilitazione sul velivolo C-130J ‘Super Hercules’». In cambio, personale italiano alla base aerea di Palmachim (città di Rishon LeZion) per conduzione dei velivoli a controllo remoto, i droni, per intenderci.

F35 italiani nel Negev

A fine luglio 2022 quattro cacciabombardieri F-35 del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di Amendola (Foggia) sono stati inviati nel deserto del Negev per una complessa esercitazione aerea (Lightning Shield, Scudo di Fulmine) con i velivoli “cugini” delle forze armate israeliane (gli F-35I “Adir” del 118° Squadrone Sud e del 140° Golden Eagle, predisposti per il trasporto di testate atomiche). Due mesi prima di Scudo di Fulmine, i cacciabombardieri israeliani erano stati impegnati in una lunga attività addestrativa in cui erano stati simulati attacchi contro l’Iran con l’impiego di armi nucleari.

Nuove tecnologie e sistemi d’arma

Visite di alti ufficiali italiani ad alcune delle più importanti basi militari israeliane, come il centro logistico-manutentivo della base aerea di Tel-Nof (nei pressi della città di Rehovot, regione centrale) e lo scalo aereo di Nevatim, quartier generale degli squadroni dell’Israeli Air Force dotati dei nuovi cacciabombardieri a capacità nucleare F-35 e dei sofisticati velivoli di intelligence e riconoscimento Gulfstream G-550.

Gli affari sono affari

Nel 2012 Israele ha acquistato 30 caccia-addestratori M-346 ‘Master’ prodotti a Venegono Inferiore negli stabilimenti di Leonardo/Finmeccanica SpA. I velivoli sono stati assegnati per preparare i piloti ai cacciabombardieri di nuova generazione, ma sono stati utilizzati anche per attacchi al suolo con bombe e missili aria-terra o antinave. L’Aeronautica italiana ha ricambiato acquistando lo scorso anno in Israele due sofisticati velivoli spia CAEW (Conformal Airborne Early Warning & Control System) sulla piattaforma del jet Gulfstream G550 sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, modificato e potenziato da Elta Systems Ltd, dell’Israel Aerospace Industries. Valore della commessa 550 milioni di dollari, con fornitura dei servizi di supporto e logistica a terra.

Gruppo Leonardo/Finmeccanica

Ma sono soprattutto i manager del gruppo Leonardo a sperare in un fruttuoso esito della visita di Netanyahu. Dopo aver venduto alle forze armate israeliane elicotteri multiruolo AgustaWestland AW119, i caccia-addestratori M-346 ‘Master’, tecnologie di telecomunicazione, nell’ultimo biennio le relazioni della holding italiana con le aziende militari israeliane si sono fatte fittissime al punto che il 21 giugno 2022 la controllata statunitense Leonardo DRS con quartier generale ad Arlington, Virginia, si è fusa con RADA Electronic Industries Ltd., con sede a Netanaya (vicino Tel Aviv), specializzata nella produzione di radar tattici militari e software avanzati.

Fondata nel 1970, RADA Electronic Industries Ltd. occupa più di 250 dipendenti e possiede anche un centro di ricerca nell’High-Tech Park di Beer’Sheva (Negev) e uno stabilimento nella città settentrionale di Beit She’an.

POLITICA  NAZIONALE  POLITICA ITALIANA

 

09/03/2023

da La Notizia

 

La leader accusata di essere troppo ruvida è diventata morbida, morbidissima. Praticamente un’ombra. Giorgia Meloni ha fatto il pieno di voti in questi ultimi anni alzando la voce, sempre e comunque, inseguendo ossessivamente la sovraesposizione su tutti i temi. C’è da presumere, senza bisogno di essere fini analisti, che tra i suoi voti abbia covato l’esasperazione di vedere – “finalmente”, hanno pensato i suoi elettori – “qualcuno che dice le cose come stanno”. Il “finalmente” è la benzina del nuovismo per cui qualsiasi leader mai stato prima al governo gode di un carico di speranza inimmaginabile per chi ci è già passato.

Ossessionata dal consenso, Giorgia Meloni manda allo sbaraglio i ministri. Così è diventata regina nell’arte di imboscarsi.

Meloni imperversava sui social urlando contro le accise della benzina. Ci si sarebbe aspettato che nostra signora dell’indignazione avesse preso di petto la questione del prezzo dei carburanti, avrebbe mostrato lo stesso piglio contro la lobby del petrolio oltre a scardinare le maledette accise. Non l’ha fatto (in politica accade di non poter fare cose che si vorrebbero fare o banalmente di non riuscirci) ma soprattutto è scomparsa.

 

Nascosta dal paravento del suo ruolo istituzionale che – a detta dei suoi – le impone un nuovo senso della misura. Meloni ha lasciato campo ai suoi ministri e ai sottosegretari (preferibilmente del suo partito) talvolta usati come opposizione al suo stesso governo. Pensateci, anche di fronte alla marea di gente che qualche giorno fa ha manifestato contro il pestaggio fascista di fronte alla scuola di Firenze, nonostante le improvvide uscite del ministro Valditara che ha additato una preside colpevole secondo lui di apologia di antifascismo, la voce chiara e secca di Meloni – quella che ha fatto esultare certe discutibili femministe per l’avvento della “donna forte” – non s’è sentita. In disparte.

Ai tempi di Draghi era proprio Meloni a pretendere che l'ex premier riferisse su tutto ciò che accadeva nel paese

Qualcuno la chiama “saggezza” (non ultimo Adriano Celentano in un’intervista al Corriere) ma non si può non ricordare come ai tempi del governo Draghi fosse proprio Meloni a pretendere che l’ex presidente del Consiglio riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese. Peggio ancora fece nei governi Conte, Gentiloni e Renzi. All’opposizione Giorgia Meloni pretendeva (giustamente o meno) che il presidente del Consiglio si disincagliasse dal suo ruolo istituzionale “per rispondere agli italiani”.

 

Se fosse così la riforma della giustizia e le dichiarazioni del ministro Nordio non hanno meritato una sua presa di posizione. Pochi comunicati, molto sbiaditi e le diplomatiche risposte che non rispondono a nulla e non prendono posizione. La vicenda Donzelli-Delmastro l’ha sfiorata di passaggio, come se non fosse anche la presidente del loro partito. Un capolavoro di nascondimento è l’atteggiamento tenuto sulla strage di Cutro: un video, guardando fissa in camera, in cui come unico contenuto politico riesce a porre una domanda retorica scandalizzata: “Ma davvero credete che non li avremmo salvati?”.

Giorgia Meloni ha una dicharazione , una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali

Sì, hanno risposto in molti. Ma una presidente del Consiglio dovrebbe dare risposte, non porre domande. Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali. Sarà, c’è da scommetterci, fornita di un’ottima dichiarazione perfettamente equilibrista per la farsa del Consiglio dei ministri di oggi a Cutro. Riuscirà a non scontentare gli addolorati e a non far sentire traditi gli xenofobi. Sarà una dichiarazione magica, come al solito, che evoca l’idea che gli elettori si sono fatti di lei (non corroborata dai fatti) e che non offre troppi spunti agli oppositori. “Saggezza”, la chiamano. E invece è solo imboscamento.

 

POLITICA  NAZIONALE  POLITICA ITALIANA

 

08/03/2023

da Left

Giulio Cavalli

 

Nel 2022 sono state 125 le donne vittime di omicidio, +12% rispetto al 2019. È quanto emerge dal report del Dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale

 

Aumentano i casi di omicidio nel 2022 con 319 persone uccise ma il numero delle vittime donne cresce ancora di più (125) con un +12% rispetto al 2019. Anche in ambito familiare-affettivo, a una diminuzione dell’8% degli omicidi commessi, corrisponde un aumento del 10% di quelli con vittime di genere femminile. È quanto emerge dai dati sulle donne vittime di violenza elaborati dal Dipartimento della pubblica sicurezza-Direzione centrale della polizia criminale del Viminale. Nello stesso ambito, invece, risultano in diminuzione sia gli omicidi commessi dal partner o ex partner (-17%) sia il numero delle relative vittime donne che, da 68 del 2019 passano nell’anno appena trascorso a 61, con un decremento che si attesta al 10%. Per quanto riguarda il tasso degli omicidi commessi nel 2022 rapportati alla popolazione residente emerge un tasso medio pari a 0,54 vittime (di entrambi i sessi), ma con un valore più elevato per il genere maschile (0,67) rispetto a quello femminile, che si attesta a 0,41. Il trend del numero degli omicidi commessi è decrescente fino al 2020, ma con un successivo costante incremento fino al 2022, anno che, comunque, fa registrare valori uguali a quelli del 2019.

 

L’azione di contrasto mostra, a partire dal 2020, una flessione della percentuale dei casi scoperti, con il minimo nel 2022: il decremento nell’ultimo anno fa comunque registrare una percentuale di casi scoperti pari all’86%. Gli omicidi con vittime di genere femminile evidenziano nel 2022 un incremento. Si tratta di un trend in aumento dal 2019, anno in cui erano state riscontrate 112 vittime donne, dato che poi cresce progressivamente e nel 2022 sale a 125, nonostante il numero di eventi complessivi (319) sia uguale per i due anni in esame: da un’incidenza che nel 2019 era del 35% si giunge nel 2022 al 39%. Approfondendo l’esame per il solo 2022, emerge che le donne vittime di omicidio costituiscono il 39% del totale; di queste, il 95% erano maggiorenni e il 78% italiane. Focalizzando l’attenzione, in particolare, sull’ambito familiare-affettivo si evidenzia, invece, come, dal 2020, gli omicidi con vittime donne mostrino un costante incremento, a fronte di un trend discendente del dato complessivo. Nell’ambito familiare-affettivo si evidenzia, infatti, come nel 2022 la percentuale delle vittime donne si attesti al 74% dei casi (103 su 140). Inoltre si rileva come, tra le persone uccise dal partner o ex partner, la percentuale di donne raggiunga il 91% (61 su 67), mentre solo nel 9% dei casi le vittime sono uomini. Considerando le sole donne uccise in ambito familiare-affettivo, le stesse sono vittime di partner o ex partner nel 59% dei casi (61 su 103). Numerosi anche i casi in cui risultano uccise per mano di genitori o figli (33%, 34 su 103), mentre è residuale il caso di omicidi commessi da altro parente (8%, 8 su 103). Per quanto attiene al modus operandi, negli omicidi volontari di donne avvenuti in ambito familiare-affettivo si rivela preminente l’uso di armi improprie o armi bianche, che ricorre in 49 casi; in 23 eventi sono state utilizzate armi da fuoco. Seguono le modalità di asfissia-soffocamento-strangolamento (16 omicidi), lesioni o percosse (14 eventi) e avvelenamento in un unico caso.

 POLITICA NAZIONALE POLITICA ITALIANA  

 

07/03/2023

da La Notizia

Gaetano Pedullà

 


La scure sui poveri è arrivata, mentre non c’è traccia dei corsi di formazione e delle altre bugie raccontate prima delle elezioni.

 


Se in Italia ci fosse una Rai che fa servizio pubblico, sarebbe il minimo sindacale chiedere conto al Presidente del Consiglio di tutte le promesse tradite con i suoi elettori. Le ultime due sono a dir poco clamorose: dal blocco navale siamo arrivati ad aumentare i flussi di immigrati (si parla di 200mila ingressi), e dalla sparizione del Reddito di cittadinanza si è finiti a una brutta copia della stessa misura.

 

L’unica sostanziale differenza è che di soldi per la povera gente ce ne saranno molti meno. Qui, invece, l’informazione è talmente sdraiata sul potere che non fa notizia l’amministratore delegato della Rai convocato dal capo del governo, come è accaduto ieri, facendo cadere l’ultima foglia di fico sulla vergogna di una tv in teoria indipendente e vigilata dal Parlamento, ma poi nei fatti a disposizione dell’Esecutivo.

 

Roba che si vede con Putin, Zelensky e i vari regimi in giro per il mondo. Così adesso le milioni di trasmissioni sui furbetti del Reddito di cittadinanza spariranno, mentre gli “occupabili” dovranno accontentarsi di una miseria o tornare a farsi sfruttare per due soldi. Se saranno confermate le anticipazioni di ieri, solo le famiglie con circa settemila euro l’anno di Isee avranno qualcosa, perché le altre, quelle fino a novemila euro l’anno, nella testa della Meloni pasteggiano a ostriche e Champagne.

 

La scure sui poveri, insomma, è arrivata, mentre non c’è traccia dei corsi di formazione e delle altre bugie raccontate prima delle elezioni. Balle di cui la tv privata è complice e quella pubblica sigillo di omertà.

 

Leggi anche : Il Reddito di cittadinanza cambierà nome: diventa Mia. Cala l’importo per gli occupabili (375 euro). Il ministero: “Solo una prima bozza”

LAVORO E DIRITTI   PRECARIETA'  

 

06/03/2023

DA Il Fatto Quotidiano

Redazione

 

La Misura di inclusione attiva - secondo le bozze del governo - prevede un assegno mensile di massimo 500 euro per i non occupabili, con quest'ultimi che potranno vedere lievitare ulteriormente la cifra con un contributo per l'affitto. C'è la stretta sull'Isee per chiedere il sussidio e un giro di vite per i percettori tra i 18 e i 60 anni che possono lavorare. Restano i nodi dell'offerta congrua e della formazione. Cgil critica: "Giudizio non positivo". Ma il dicastero in una nota, diffusa solo nel pomeriggio, precisa: la materia necessita ancora "di un approfondito confronto tecnico"

 

Un nome nuovo, importi più bassi per gli occupabili, stretta sull’Isee per chiederlo e una definizione di “offerta congrua” ancora tutta da chiarire. Prende forma la pesante rimodulazione del Reddito di cittadinanza che cambierà nome, a partire da settembre. Si chiamerà Mia (acronimo di Misura di inclusione attiva) e – secondo le bozze di lavoro del governo – garantirà un assegno mensile di massimo 375 euro per gli occupabili e di 500 euro per i non occupabili, con quest’ultimi che potranno vedere lievitare ulteriormente la cifra con un contributo per l’affitto. I testi approntati dal ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone sono passati – secondo il Corriere della Sera – al ministero dell’Economia (il quale smentisce) che ne dovrà valutare la fattibilità economica, aspetto che non esclude quindi un giro di vite ancora più stringere sulla misura bandiera dei Cinque Stelle che ha dato una mano a migliaia di famiglie negli ultimi tre anni complice la pandemia. Il decreto legge, secondo quanto trapela, è composto da 12 articoli e potrebbe approdare in Consiglio dei ministri nel giro di due-tre settimane. Solo nel pomeriggio il ministero del Lavoro in una nota ha chiarito che si tratta solamente di una prima bozza e che la materia necessita ancora “di un approfondito confronto tecnico“.

 

“In merito alle indiscrezioni giornalistiche sulla revisione del reddito di cittadinanza, si precisa che il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è al lavoro per portare il provvedimento all’esame del consiglio dei ministri. Si tratta di una materia che necessita di un approfondito confronto tecnico con altri ministeri, le regioni, i comuni e gli enti competenti e che non permette, ad oggi, di considerare un primo draft dell’intervento normativo come valido testo di riferimento per la riforma”, spiega il dicastero diretto da Calderone. Secondo quanto trapelato, la Mia dovrebbe entrare in funzione da settembre, dopo i sette mesi di proroga del Reddito di cittadinanza. Questo lo schema base: le famiglie in difficoltà “non occupabili” – quindi con minorenniover 60 o disabili – e quelle con “occupabili”, ovvero con un componente che abbia tra i 18 e i 60 anni d’età, che si stima siano circa 400mila. Nel caso di “occupabili”, la Misura di inclusione attiva durerà di meno e avrà un importo più basso: l’assegno base sarà ridotto a 375 euro e verrà erogato al massimo per un anno, inoltre la domanda potrà essere presentata dopo sei mesi di pausa e per un’eventuale terza domanda dovranno passare ben 18 mesi. Una stretta molto forte, quindi. Per i “non occupabili”, invece, l’importo resterà di 500 euro, come adesso, ed è possibile che venga inserito un contributo extra se il beneficiario deve pagare l’affitto, che ora prevede fino 280 euro al mese. Per i nuclei più svantaggiati la durata resterà di 18 mesi e alla scadenza del periodo, dopo un mese di stop, potranno richiedere il reddito ma la durata calerà a un anno.

 

Una novità importante è legata al tetto massimo dell’Isee per poter fare domanda che dovrebbe essere tagliato, scendendo da 9.360 a 7.200 euro, con l’effetto – secondo il Corriere della Sera, che ha anticipato le bozze – di tagliare la platea di beneficiari di circa un terzo. Rispetto al Reddito è prevista anche una correzione della “scala di equivalenza”, che modulerà l’importo in maniera diversa andando a privilegiare i nuclei familiari più numerosi. E sarà rivista – andando incontro a Bruxelles – anche la norma che finora prevedeva la possibilità di accedere alla misura solo per chi risiede in Italia da almeno da 10 anni: un tetto che sarà dimezzato, scendendo a 5 anni.

 

Il nuovo sistema dovrebbe essere pensato per spingere le persone quanto più possibile a cercarsi un lavoro estendendo la possibilità di mantenere l’assegno a fronte di retribuzioni fino a 3mila euro l’anno a tutti i tipi di lavoro dipendente. Resta nebulosa la formulazione dell’offerta ritenuta “congrua” che non potrà essere rifiutata, pena la decadenza del nuovo Reddito: verrà definita “congrua” se in linea con la profilazione della persona occupabile e se la sede di lavoro sarà nella provincia di residenza o nelle province confinanti, nonché se il contratto dura più di 30 giorni. Resta da chiarire anche come verrà affrontato l’altro nodo critico, quello legato alla formazione per il reinserimento lavorativo dei percettori.

 


All’obbligo di partecipazione attiva, formazione e lavoro nel nuovo sussidio contro la povertà – se non impegnati in un percorso di studi – saranno tenuti anche i minorenni con almeno 16 anni saranno tenuti. Si nella bozza infatti che sono tenuti a questo obbligo “tutti i componenti il nucleo familiare maggiorenni ovvero minorenni che abbiano adempiuto agli obblighi scolastici”. Sono esclusi invece i beneficiari over 60, nonché i componenti con disabilità. Possono essere esonerati dall’obbligo i componenti con carichi di cura, cioè chi ha figli minori di 3 anni di età o disabili in condizioni di gravità.

 

Tra le prime reazioni c’è stata quella di Pasquale Tridico, presidente dell’Inps: “Per i cosiddetti non occupabili cambia poco, il reddito di cittadinanza si conferma essere fondamentale come contrasto alla povertà. C’era da fare un lavoro sulle politiche attive, su tutto ciò che c’è attorno alla misura e questo mi sembra che vada nella giusta direzione”. Il numero uno dell’Istituto nazionale di previdenza sociale sottolinea a 24 Mattino su Radio 24: “Noi abbiamo tanti inattivi e abbiamo progetti di inclusione che spesso non vengono svolti da Comuni e centri per l’impiego, qui mi sembra che ci sia una spinta molto forte in questa direzione”. Il reddito minimo, rileva Tridico, “è una misura prevista dall’Unione Europea, tutti coloro che stanno al di sotto di una certa soglia devono avere un reddito. L’Italia dovrà fare i conti con le direttive della Commissione Europea sul reddito minimo, consentire a coloro che pur non trovando il lavoro perdono il reddito. Mi sembra effettivamente una grande criticità”.

 

Un “giudizio non positivo” arriva anche dalla Cgil che esprime “preoccupazione e perplessità” spiegando di non condividerne “il metodo e il merito”, spiega la segretaria confederale Daniela Barbaresi . “Non siamo stati chiamati su una partita importante che richiederebbe un confronto approfondito. Siamo in una situazione delicata con l’inflazione che avanza e colpisce soprattutto le famiglie in una situazione di povertà, il tema è prioritario. Quanto al merito – prosegue – la povertà è un fenomeno complesso, non basta la presa in carico dal punto di vista economico. C’è il disagio abitativo, la povertà educativa, ci vuole una presa in carico complessiva. Andrebbe poi chiarito l’aspetto economico”.

SCUOLA

 

05/03/2023

da iL Manifesto

Riccardo Chiari

 

Studentesse e studenti, prof, sindacalisti, Anpi. Decine di migliaia di persone sfilano per il rispetto e l’applicazione della Costituzione

Stretti dietro lo striscione “Michelangelo antifascista”, i compagni e le compagne di scuola dei ragazzi picchiati davanti al loro liceo quasi non credono a quello che vedono. “Avevamo già fatto una bella manifestazione tre giorni dopo il pestaggio – ricordano David e Leonardo – ma davvero non ci aspettavamo tutta questa sensibilità. Vedere così tante persone in piazza ci rincuora”. “Sul ‘Miche Post’, il giornale della scuola – segnalano Alessia e Niccolò – avevamo già fatto degli articoli su quanto accaduto. Ora abbiamo tanto materiale per continuare a scriverne”.

 

La sensibilità si tocca con mano, guardando passare le decine di migliaia di persone che hanno risposto all’appello sindacale per il rispetto e l’applicazione della Costituzione nata dalla Resistenza al fascismo e al nazismo. Chiedendo le dimissioni sia del ministro Valditara che del collega Piantedosi. Già un’ora prima della partenza del corteo, piazza Santissima Annunziata segna il tutto esaurito, così viene occupata via della Colonna, la strada che porta al classico Michelangelo e al dirimpettaio scientico Castelnuovo.

 

Colpisce subito uno striscione della Flc Cgil: “L’umanità non è un carico residuale”. “Sono parole del ministro Piantedosi sui migranti – puntualizza Gaia, insegnante – e quel ‘carico residuale’ lo qualifica per quel che è. C’è un collegamento stretto fra antifascismo e migrazioni, e mentre la scuola costruisce ponti, il fascismo edifica muri”. Poco dietro ecco lo striscione del liceo Leonardo da Vinci, quello della preside Annalisa Savino, anche lei in corteo. Solo una frase sulla stoffa: “Io non sono indifferente”. “Non c’è altro da dire – spiega la professoressa Franca circondata da colleghe e colleghi – Savino ha già scritto tutto. E i nostri studenti sono dietro di noi”.

 

C’è tantissima Cgil in questa manifestazione voluta dalle Rsu delle scuole fiorentine, abbracciata dai sindacati confederali e di base, da tanti insegnanti e tanti genitori, e da una marea di ragazze e ragazzi che sfilano dietro le insegne dei loro istituti e di quello di Firenze Antifascista. “Noi sappiamo chi ha messo le bombe nelle piazze, nelle stazioni e sui treni – ricorderà sul palco di piazza Santa Croce uno studente del Castelnuovo a nome di Firenze Antifascista – e oggi siamo in piazza con voi, sindacati e partiti, che però state perdendo i contatti con le periferie e con chi ci vive, con le parti più deboli della società. Ed è qui che si insinuano i fascisti”.

 

Davanti al Miche c’è anche Salvatore Tassinari, 94 anni di cui tanti passati qui a insegnare storia e filosofia, Lo fa ancora, è un sempreverde come i compagni dello Spi Cgil di Firenze che sfilano intonando “Bandiera rossa la trionferà, evviva il comunismo e la libertà”. “Oggi finalmente la possiamo cantare”, sorride Silvano Pini, mentre accanto a lui Ruben Cocci dà la più bella lezione della giornata: “Siamo qui per gli studenti, perché è a scuola che si impara l’antifascismo, e a non fare mai la guerra”.

 

A Firenze sono arrivate delegazioni delle Camere del Lavoro di mezza Italia, e fra le categorie non mancano la Funzione pubblica, la Flai con lo striscione “Antifascisti sempre, la Fiom, la Filcams e altre ancora. Nel veder passare tante compagne e compagni John Gilbert, storico delegato sindacale dell’ateneo, quasi si commuove: “Non potevano farmi miglior regalo di compleanno. E se Valditara non capisce cosa voglia dire la libertà di espressione, significa che è inadeguato a fare il ministro”.

 

Nel fiume in piena anche tanti labari e striscioni dell’Anpi, portati da giovani iscritti che tengono viva la memoria, e la lezione, di chi è arrivato a sacrificare la vita per la libertà e la democrazia. “Sono onorata di accompagnare questo striscione”, riassume Alice. Accanto a lei i più anziani Marietta Dolli e Giannino Poeti, che da Taurianova, in provincia di Reggio Calabria si sono fatti mille chilometri per venire qui: “Siamo la sezione Bibi Carrozza – raccontano – il nostro compito è custodire e rafforzare la memoria”.

 

L’affollato spezzone dei sindacati di base, Usb e Cobas, precede quello di Priorità alla Scuola e di Firenze Antifascista, strapieno di giovani perché sono state le prime realtà a sostenere gli studenti dei collettivi dopo il pestaggio del 18 febbraio, ad aiutarli nella manifestazione del 21, e a denunciare i tanti sgomberi delle scuole decisi da presidi indifferenti alle richieste dei loro allievi. Le bandiere di Rifondazione, quelle di Sinistra italiana e alcune di Pd e 5 Stelle in chiusura. Mentre i consiglieri comunali fiorentini della Sinistra Progetto Comune, Antonella Bundu e Dmitrij Palagi, passano a poca distanza dagli indomiti operai della Gkn, a sostegno dei quali ci sarà più di un intervento dal palco di Santa Croce.

 

“Il nostro auspicio – commenta alla fine il segretario della Cgil Toscana, Rossano Rossi – è che questa giornata possa segnare una svolta per difendere con sempre maggior forza i diritti sociali, costituzionali e del lavoro. E se la politica vuole recuperare la fiducia della gente, deve ripartire da piazze come quelle di oggi”. Accanto a lui Maurizio Landini: “Questa manifestazione è la più bella risposta che si può dare a chi pensa e pratica atti squadristi e di violenza, a chi vuole tornare indietro. La democrazia va difesa e praticata ogni giorno, e i valori della nostra Costituzione devono essere non solo ricordati ma anche realizzati”.

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