Acqua:


Il Parlamento europeo ha fatto propria la proposta dei movimenti per l’acqua

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POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA 

 

14/01/2023

da La Notizia

Gaetano Pedullà

 


Le destre fregano chi ha la casa. Per distogliere l'attenzione dal caso accise, si torna a parlare della patrimoniale sulla casa


Visto il disastro che ha fatto sulla benzina, al governo serviva un pretesto qualunque per spostare l’attenzione. Di solito niente funziona meglio dei migranti, ma proprio ieri, al processo di Palermo, Conte ha seppellito la versione di Salvini sul blocco in mare della Open Arms al tempo dei gialloverdi.

 

Ecco allora l’altro cavallo di battaglia, la patrimoniale sulla casa, e pazienza se non esiste nessuna patrimoniale e l’unico appiglio è una direttiva europea fissata per il 2030, cioè tra sette anni. La norma prevede che da quella data si portino gli immobili almeno alla classe energetica E, riducendo la dispersione di calore. In Italia, ha stimato l’Ance, cioè l’associazione dei costruttori, questo significa dover ristrutturare qualcosa come nove milioni di immobili. Ci sarebbe lavoro, insomma, per milioni di operai. Ma chi paga? Le destre, incuranti di creare l’ennesimo conflitto con l’Europa, si sono messe di traverso, promettendo di bloccare la direttiva.

 

Un film già visto con il Mes, che dopo anni di battaglie, adesso la Meloni andrà diligentemente ad approvare. Più concreti si stanno dimostrando invece i 5 Stelle, per cui l’efficienza energetica è un valore, ma non è giusto far pagare il conto ai proprietari degli immobili. Così, invece di ululare alla luna, si sono attivati per far coincidere con la direttiva una sorta di Recovery Fund Green, che farebbe arrivare a chi possiede case e alle imprese edili miliardi di euro. A questo, d’altra parte, serve la buona politica. Il resto è sollevare polvere, utile solo a chi ha poche idee e confuse.

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA   

 

13/01/2023

da La Notizia

Giulio Cavalli

 

Propaganda e promesse tradite presentano il conto. Al Governo la Meloni ha scoperto che la politica vera non si fa a colpi di tweet.


“E mo’?”. La presidente Giorgia Meloni la possiamo immaginare così, con i gomiti appoggiati sulla scrivania a Palazzo Chigi e la testa tra le mani mentre scorre le agenzie di stampa che si moltiplicano nel suo primo vero giorno di governo dove non funziona più nessun ammennicolo narrativo che ha usato fin qui.

 

Propaganda e promesse tradite presentano il conto. Al Governo la Meloni ha scoperto che la politica vera non si fa a colpi di tweet o di comizi sgolati

 

I suoi elettori, certo, hanno festeggiato a lungo la sconfitta dei “poteri forti” e la vittoria della loro paladina. Chi fossero i poteri forti, ora che la festa per l’incoronazione è passata, non si è saputo. Di certo non era un potere forte Mario Draghi su cui Meloni si è adagiata fin dalle prime battute, ripetendo benissimo la lezioncina: così è andato in scena l’atlantismo di maniera nonostante un minuto prima fosse da tutt’altra parte insieme ai suoi alleati di governo; poi il contenimento dei costi come dal primo comandamento draghiano (e draconiano) nonostante fino a un minuto prima la responsabilità sui conti fosse una tagliola; le solari strette di mano nonostante la pioggia ai leader europei che ora non sono più i tagliagole delle sovranità nazionali; l’appoggio incondizionato all’Ucraina e Putin che di colpo da modello politico è diventato brutto, sporco e cattivo. Il compitino iniziale di Giorgia non era difficile.

Era urgente solo abbassare i toni, cambiare la mimica svoltando sul sorriso, rassicurare gli antichi nemici facendogli capire che gran parte della propaganda erano solo martellate per arrivare al governo e far passare il messaggio agli italiani che in effetti lo spazio di agibilità politica è veramente angusto, esattamente come dicevano quegli altri che aveva sempre bollato come bugiardi. Fin qui tutto bene.

 

Poi Giorgia Meloni ha scoperto che la politica, la politica vera, non si fa a colpi di tweet o di comizi sgolati con quattro svitati fascisti in giro per l’Europa ma tocca farla facendo quadrare i numeri. E ai numeri Meloni (come il suo compare Salvini) non ci aveva mai pensato. Così quando tocca tirare le somme per scrivere una finanziaria che accontenti gli elettori ma che non scassi i conti dello Stato, Giorgia è andata in tilt. La sua prima vera scelta politica, quella di recuperare soldi dal taglio delle accise sui carburanti, sta facendo crollare il castello di sabbia. Il risultato è clamoroso. Riavvolgiamo il nastro.

Quando i giornali hanno scritto che dal primo gennaio si sarebbero alzati i prezzi ai distributori di benzina la tattica di Meloni e dei suoi è stata quella di sempre: la stampa mente, nessun disastro in arrivo, lasciateli perdere. Poi è arrivato il 2023 ed è successo quello che si sapeva. Il maremoto comincia qui. Gli elettori, che siano di destra di centro o di sinistra, possono appassionarsi alle battaglie ideali e di propaganda dei loro leader ma perdono facilmente la pazienza quando la politica gli entra nel portafoglio.

 

E la benzina, per sfortuna di questo pessimo governo, la fanno tutti. Proprio tutti. La prima reazione è da manuale di inettitudine politica. “È colpa della speculazione!”, urlano dal governo in coro. Oh, bene, si potrebbe pensare, hanno trovato un colpevole. Chi è il colpevole? Niente, non è dato saperlo. Sono i poteri forti anche questa volta. S’è incancrenita così tanto a fare opposizione che Giorgia Meloni ormai sa fare solo quello e così ora fa l’opposizione all’opposizione. La scena, ammettiamolo, è gustosa, se non fosse che ci costa tantissimo.

E infatti la scusa non attacca, non funziona.Ne inventano un’altra: “Noi non abbiamo mai promesso di tagliare le accise!”. Ma come? Non passa troppo tempo che riemergono le scenette di Meloni e Salvini che si lamentavano e promettevano. “Che c’entra?”, ci dicono, “quella è campagna elettorale!”. Capito? Stanno dicendo, Meloni e compagnia cantante, che siamo dei fessi a credere alle promesse della campagna elettorale. Mi raccomando, poi chiediamoci il perché dell’astensionismo.

 

Ma la saga continua. Dicono che non c’era nessun taglio delle accise nel loro programma elettorale e poi spunta il programma elettorale. Sbagliata anche questa. “In campagna elettorale abbiamo sostenuto la necessità di una riforma fiscale che facesse riferimento all’intera tassazione diretta e indiretta per rendere più equilibrato il sistema fiscale a favore di famiglie, professionisti e imprese”, dice il ministro Fratin. Beh, e quindi? Non sono loro a dover fare tutto questo? Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, dice”sì, lo faremo, ma niente fughe in avanti?”. Ma con la promessa non si abbassa il prezzo del pieno.

Insuperabile il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani intervistato a Radio anch’io su Rai Radio 1: “L’opposizione ci dica con quali fondi finanzierebbe il taglio delle accise”. L’opposizione? Ma cos’è, una candid camera? Intanto i benzinai, trattati da speculatori dal partito della presidente Meloni, ovviamente non ci stanno e annunciano lo sciopero. Giuseppe Sperduto, presidente di Faib Confesercenti, Federazione dei gestori carburanti Confesercenti lo dice facile facile: “Non c’è nessuna speculazione, nel momento in cui sono state reintrodotte le accise non c’è stato nessun aumento ulteriore.

Se precedentemente c’è stata qualche poco accorta dichiarazione in campagna elettorale non è certo colpa del gestore che non determina il prezzo”. Qualcuno della maggioranza prova a dire ai benzinai che no, che non ce l’hanno con loro. “E con chi ce l’avete?”, gli chiedono quelli. Nessuna risposta. La maggioranza, sempre più in confusione, prova a buttare la palla in tribuna: “Abbiamo avuto altre priorità”, dice Santanché.

Già: evasori, presidenti di squadre di calcio, lo sappiamo bene. Ne abbiamo già largamente scritto. Si arriva a sera con il voto sul Dl Quater, Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, strilla: “La sinistra falsa vota contro lo sconto delle accise”. Beh, ma loro sono la maggioranza, quindi la norma è passata. E il prezzo della benzina è sceso? No. A difendere Giorgia rimane malinconico il Codacons che per una volta abbandona le pubblicità dei biscotti e Sanremo. Ma Giorgia un miracolo l’ha compiuto: ha ricompattato Pd, M5S, Terzo polo. Tutti insieme. Era lei la chiave per il “fronte largo”. Saperlo prima…

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA      

 

11/01/2023

DA Tag43

Stefano Iannaccone

 

Salvini tra gaffe e contraddizioni: un disastro ai Trasporti

 

Prima dice di voler limitare gli incidenti stradali inasprendo le pene. Poi protesta contro Sala per la “zona 30”, dimenticandosi che la velocità è la prima causa di morti. La polemica sui biglietti aumentati dal sindaco a Milano? La delibera è regionale, quindi leghista. Così Salvini non ne azzecca una.

 

Nuova strategia cercasi è il cartello che potrebbe appendere Matteo Salvini fuori dal suo ufficio. La mania di twittare per commentare all’istante i fatti non si rivela più vincente come all’epoca del Capitano che dominava i social network. Anche perché sui dossier che gli spettano per mansione governativa non sta affatto brillando. Dopo la débâcle elettorale, con un risultato striminzito rispetto alla collega di coalizione Giorgia Meloni, e le tensioni nella Lega che si stanno scaricando sulle Regionali in Lombardia, il ruolo di ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non è diventato il trampolino di rilancio che immaginava. Anzi, il primo consuntivo presenta un quadro deficitario, ricco di contraddizioni.

 

Quando la Lega voleva alzare il limite di velocità in autostrada da 130 a 150 km/h

 

Il numero uno del Mit, come ha voluto ribattezzare il dicastero spazzando via il riferimento alle mobilità sostenibili, sembra in stato confusionale. Di fronte alle tragedie degli incidenti stradali, ha subito dichiarato di voler inasprire le pene per i conducenti che violano il codice della strada, soprattutto per chi si mette al volante da ubriaco, sotto effetto di droghe o comunque violando le norme. Una delle proposte è la revoca a vita della patente per chi viene trovato con un tasso alcolemico superiore a quello consentito dalla legge. Insomma, un giro di vite che sembrerebbe smentire una vecchia battaglia della Lega, quella dell’innalzamento del limite di velocità in autostrada da 130 a 150 chilometri orari. Nella scorsa legislatura era stato presentato un emendamento al disegno di legge che riformava il codice della strada. «Ha poco senso mantenere in vigore quei limiti, oggi che i rischi sono connessi a comportamenti diversissimi», sosteneva Alessandro Morelli, che per il partito si occupa del tema trasporti. La proposta, tuttavia, non passò alla Camera.

            

No alla “zona 30” di Sala a Milano: «La gente vorrebbe anche lavorare»

Così in questo gioco di specchi di contraddizioni, il ministro Salvini è tornato pro-velocità, attaccando il sindaco di Milano, Beppe Sala, che vuole rendere la città “zona 30” entro il 2024, ossia con un limite massimo di 30 km/h proprio per scongiurare il pericolo di sinistri. «Ricordo al sindaco e al Pd che a Milano la gente vorrebbe anche lavorare», è la posizione del leader leghista, dimenticando che l’elevata velocità è una delle principali cause che provocano incidenti mortali.

Contro i biglietti più cari: ma la delibera è regionale, quindi leghista

Restando in materia di trasporti, stavolta pubblici, Salvini ha usato strumentalmente anche l’aumento del prezzo dei biglietti a Milano. Su biglietti singoli e titoli occasionali e settimanali, è stato operato un ritocco. «Sala e il Pd hanno prima messo in difficoltà centinaia di migliaia di cittadini, studenti e lavoratori con l’Area B (senza ridurre l’inquinamento in città), e ora puniscono chi vuole utilizzare metro, tram o bus», ha attaccato Salvini sui social, prendendosela ancora con il primo cittadino milanese. A sua volta Sala ha ricordato la necessità di mettere più risorse per il trasporto pubblico locale sul piano nazionale, perché il «costo del biglietto copre solo una parte delle spese». Peraltro, il ministro ha sapientemente omesso che l’incremento del costo dei ticket è legato a una delibera regionale, amministrata dal leghista Attilio Fontana.

Pedaggi autostradali aumentati: eppure era lui a invitare alla disobbedienza civile

Di contraddizioni è piena la gestione del Mit firmata Salvini. Basti pensare all’aumento dei pedaggi autostradali entrati in vigore da gennaio e che saliranno ulteriormente a luglio. Nel 2014, il segretario della Lega invitava alla disobbedienza civile al casello. «Con una crisi economica senza precedenti, il governo autorizza altri aumenti dei pedaggi autostradali» Quindi sollecitava «presidi ai caselli delle autostrade» con il motto «io non pago!».

 

«Non si sale in auto in sette»: però quell’auto era omologata

Ma che sui trasporti Salvini non fosse molto ferrato, era già chiaro con la gaffe fatta di fronte al dramma di Alessandria, dove a causa di un incidente sono morti quattro ragazzi dei sette a bordo di una Peugeot 807. Facendo ricorso alla sua retorica paternalista, il ministro ha affermato: «È giusto sanzionare gli automobilisti irresponsabili» ed è «chiaro che non sali in auto in sette». Da qui ha aggiunto: «Su questo puoi fare tutta l’educazione stradale che vuoi, puoi mettere la prevenzione che vuoi». Peccato, però, che il veicolo in questione fosse omologato per trasportare proprio sette persone, compreso il conducente.

Tuttavia, la voglia di esprimere la propria posizione sui social per fare incetta di like e condivisioni si è affievolita di fronte ai fatti avvenuti in Brasile con i sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro che hanno assaltato le istituzioni. Difficile rimangiarsi anche questa amicizia, confermata da varie prese di posizione e fotografie che lo ritraggono con Bolsonaro, come del resto è stato già fatto con Vladimir Putin. Emblema dei legami internazionali imbarazzanti del leader leghista.

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA 

 

10/03/2023

da Left

Piero Bevilacqua

 

Apriamoci a nuovi spazi di comunicazione, al vasto arcipelago dei movimenti della società civile. Facciamo alleanze con forze politiche affini. L'urgenza primaria è unificare, mettere in contatto, fin dove possibile, le diversità che la soggettività individualistica dei nostri anni ha frantumato e disperso.

 

La domanda più ovvia è: per quale ragione la sinistra radicale, in Italia, da anni resta inchiodata a valori cosi marginali di consenso? La risposta più ricorrente è che i gruppi che la rappresentano sono portatori di una politica settaria, rosi da continue litigiosità interne, votati alla scissione. È un giudizio severo, che coglie elementi di verità, ma puramente descrittivo e lascia in ombra tante altre ragioni profonde di possibili spiegazioni. Qui per sinistra radicale intendo essenzialmente Rifondazione comunista e Potere al popolo, lascio fuori i tanti partitini comunisti e naturalmente Unione popolare, troppo giovane per essere giudicata con un minimo di prospettiva storica. Ma su cui tornerò.

 

Occorrerebbe infatti spiegare come mai queste formazioni non incrementino la loro forza in un contesto sociale e politico così favorevole a una prospettiva radicale. Con la crescita clamorosa delle disuguaglianze sociali, l’impoverimento di strati crescenti di popolazione, il moderatismo centrista del Pd, le ambiguità del Movimento 5 stelle, l’Italia dovrebbe rappresentare il laboratorio ideale per il rapido emergere di una forza di sinistra. Tanto più che le due formazioni non mancano di assumere posizioni avanzate sui tanti problemi della vita nazionale, e da anni partecipano, in alcuni territori, alle lotte operaie e alle proteste dei cittadini.  

 

Io credo che una spiegazione immediata della loro perdurante marginalità risieda in una lettura politicamente inadeguata della situazione presente, dietro cui si nasconde, completamente rimossa, una catastrofe storica che riguarda l’intera dimensione della politica in età contemporanea. Un tracollo materiale e simbolico che ovviamente investe oggi il destino di tutte le forze progressiste.

 

È idea comune nel campo della sinistra che la politica sia una forma qualsiasi di pratica intellettuale, la cui riuscita dipende dall’aderenza dell’analisi alla realtà fattuale, dall’onestà dei principi ispiratori, dalla scelta coerente di rappresentare i ceti svantaggiati dalle politiche dei vari poteri. Ma dovrebbe essere evidente che questa è solo una premessa.
Non è sufficiente stare accanto al popolo e alle sue sofferenze per diventare popolari, se non si entra nel raggio visivo dell’opinione pubblica nazionale. A meno che non si creda, di diventare, dopo anni di battaglie, talmente grandi e forti da poter dare un giorno l’assalto al Palazzo d’inverno, occorre riconoscere che una forza politica cresce se aumenta il suo consenso elettorale. È questa la porta stretta attraverso cui occorre passare in un sistema democratico.

 

E che cosa accade puntualmente nelle scadenze elettorali? Noi tutti lo chiamiamo il ricatto del voto utile: quello che per un quindicennio il Pd ha utilizzato per vampirizzare le forze alla sua sinistra, complici i sistemi elettorali da esso difesi o creati. È stato certamente questo ma anche qualcosa di più. I sempre più ridotti elettori italiani che entrano in cabina, soprattutto quelli che si attendono dai governi un possibile mutamento della propria condizione, affidano il proprio consenso non alle forze che hanno il programma più esaltante, ma a quelle che per consistenza numerica consentano di sperare in qualche iniziativa parlamentare utile. Tanto Rifondazione comunista che Potere al popolo non nutrono alcuna preoccupazione di come essi appaiono all’opinione pubblica generale, badano all’idea che se ne fanno i propri seguaci e, teoricamente, la classe operaia e i ceti popolari. I quali evidentemente, pur avendone stima, nel caso ne abbiano sperimentato da vicino l’appoggio e la solidarietà, non li votano. Disertano le urne o votano qualche altro partito a cui affidano qualche vaga chance di mutamento.

 

Dunque queste formazioni sono chiuse in una trappola: sono troppo piccole e deboli, per essere credute capaci di realizzare i loro programmi e quanto più si mostrano radicali e intransigenti – la loro ragion d’essere come forze politiche alternative – tanto più le loro pretese appaiono velleitarie.

 

Dunque, la prima e più importante risposta alla domanda dell’inizio viene dalla politica irrealistica dei gruppi dirigenti, i quali, significativamente, non perseguono più di tanto alleanze nell’ambito della sinistra, una condizione decisiva per uscire dalla trappola, per non apparire troppo deboli e isolati. Oggi il comportamento di sospetto, se non di ostilità, nei confronti del Movimento 5 stelle è molto significativo e conferma la vecchia logica di auto emarginazione. Ancora più evidente specie in questa fase, nella quale Conte è un concorrente temibile, avendo compreso quale vasto spazio si apra a sinistra con il dissolvimento strisciante del Pd.

 

Non entro nel merito, come premesso, della novità rappresentata dalla nascita di Unione popolare di cui Rifondazione comunista e Potere al popolo costituiscono componenti essenziali insieme al gruppo di ManifestA. È un esperimento appena avviato. Ma ancora oggi, in gran parte di questi gruppi dirigenti – non necessariamente nelle varie militanze locali – si annida, inscalfita, la colossale e tragica incomprensione storica dell’epoca in cui viviamo.

 

Presentarsi alle elezioni del Lazio con un proprio candidato rientra in questo basso orizzonte di pensiero. Senza dire che non pochi rappresentanti, in alcuni casi dirigenti nazionali di Potere al popolo, vanno in giro per l’Italia ancora sotto le insegne del loro partito, mostrando evidentemente sospetto e sfiducia nei confronti del tentativo di unità condotto da Luigi de Magistris, portavoce di Unione popolare: unico e ultimo progetto d’innovazione politica che li può salvare da una fine certa nell’irrilevanza definitiva.

 

Ora, quali sono in stringata sintesi giornalistica i tratti tragici della condizione attuale dei ceti proletari, delle forze politiche, delle culture e dei gruppi che verrebbero rappresentarli? Si tratta degli esiti di una catena inesorabile di processi ed eventi che hanno demolito configurazioni sociali di durata secolare, sconvolto in profondità, per lo meno in gran parte del mondo sviluppato, le soggettività umane, cambiato la dimensione e la qualità stessa della politica. Negli ultimi 30 anni è cambiato tutto e la sinistra radicale è rimasta chiusa nei quadri di riferimento del Novecento.

 

Non è retorica. L’iniziativa capitalistica avviata da alcuni grandi Stati dell’Occidente, Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Gran Bretagna, ha visto soffiare i venti della Fortuna nelle sue ampie vele e cambiato volto al mondo. La Fortuna nel senso moderno e drammatico con cui Machiavelli applica il termine alle vicende della politica. Per una fatale congiuntura astrale la deregulation, avviata dai due leader si è incontrata con la rivoluzione informatica. Una innovazione tecnica senza precedenti, che ha concesso ai gruppi capitalistici di ristrutturare le proprie imprese, frantumando, con le varie forme di subappalto, il corpo coeso della classe operaia dell’era fordista. Ma soprattutto consentendo al capitale, non solo a quello finanziario, con la strategia delle delocalizzazioni, una libertà mondiale di movimento mentre la classe operaia e le forze che la rappresentavano restavano inchiodate nel recinto nazionale. Una libertà delle imprese di portare le proprie fabbriche dove la classe operaia era più docile e i suoi salari più bassi, diventata ben presto un ricatto sistematico contro i lavoratori in lotta in tutto l’Occidente.

 

Negli ultimi trent’anni chi ha preteso aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro ha dovuto chinare la testa di fronte alla minaccia di chiusura dell’impresa e di trasferimento dei suoi impianti. Non si comprende quel che è avvenuto alla lotta politica in questa fase storica se non si afferra questo nodo essenziale: il depotenziamento del conflitto operaio, che è stato il motore dell’innovazione industriale per tutta l’età contemporanea, e ha fornito alle forze della sinistra la spinta per redistribuire la ricchezza e democratizzare lo Stato. Non a caso oggi, dispersi e scoraggiati i conflitti operai, il capitalismo sembra tornare al carattere selvaggio delle sue origini. Ma la Fortuna ha voluto soffiare ancora più forte nelle vele del capitale.

 

Ai primi degli anni ’90 crolla l’Urss, che pur essendo un pachiderma burocratico e autoritario, aveva pur sempre costituito una minaccia per i poteri capitalistici. Essa costituiva una forza competitiva, che ha spinto gli Stati dell’Occidente ad ampliare gli spazi del Welfare per sottrarre consenso ai partiti comunisti nazionali. Sul piano simbolico quel tracollo voleva dire che “non c’è alternativa”. E per rendere ancora più favorevole al capitale il corso delle stelle le élites borghesi si sono trovate in dono un vero e proprio patrimonio di pensiero e di retoriche, il neoliberismo, elaborato fin dal dopoguerra, che aveva tra i suoi esponenti resi prestigiosi dai premi Nobel, come Friedrick von Hayek e Milton Friedman. Quel pensiero, con le sue formule, il suo linguaggio, è diventato l’intelaiatura del pensiero unico, il nuovo aristotelismo della nostra epoca. Una risorsa, ahimè, anche per i partiti socialdemocratici e comunisti, che ne hanno assunto il linguaggio e la prospettiva, salvando se stessi come ceto politico dalla disfatta che nel frattempo si abbatteva sulla classe operaia e i ceti popolari.

 

Dunque un trionfo del capitale che non ha precedenti nella storia di questo modo di produzione e su cui in così pochi abbiamo riflettuto e studiato. Il primato del mercato, stabilito come superstizione universale, ha significato che la politica poteva solo restare a guardare le forze libere dei privati scatenarsi nell’agone mondiale. Nulla più di questo. Ma la rivoluzione tecnologica di questa fase ha anche visto nascere la “società dello spettacolo”, un sopramondo di inedita potenza manipolatoria, il “cuore dell’irrealismo della società reale” come l’ha definito Guy Debord, che ha consegnato al capitale la rappresentazione della realtà.

 

L’immaginario collettivo è finito nelle mani di schiere di manager, pubblicitari, intellettuali, esperti di marketing che ne veicolano e sublimano la mercificazione quotidiana. Essi decretano la passività dei cittadini ridotti a massa di consumatori di finzioni, mentre i detentori effettivi del potere televisivo decretano l’esistenza o l’inesistenza delle forze politiche. Se non si è parte dello spettacolo televisivo si è privi di presenza nel mondo reale. Rifondazione comunista e Potere al popolo non hanno alcun ruolo nello spettacolo e dunque le loro voci, per quanto gonfie di legittime denunce e di sdegno, non arrivano da nessuna parte.

 

In tale paesaggio di macerie – di cui son parte le divisioni a catena dei partiti comunisti superstiti – è evidente che l’interesse preminente di tali forze dovrebbe essere quello di non apparire come le truppe sbandate di un esercito sconfitto. Aprirsi a nuovi spazi di comunicazione, mostrarsi aperti a sperimentazioni con il vasto arcipelago dei movimenti della società civile. Ma anche essere disponibili ad alleanze con le forze politiche affini, indicare programmaticamente lo sforzo di volere unificare, mettere in contatto, fin dove possibile, le diversità che la soggettività individualistica dei nostri anni ha frantumato e disperso. La più grande aspirazione delle masse sconfitte è una qualche forma di unità delle forze che un tempo le proteggevano. Per Rifondazione comunista, Potere al popolo e Unione popolare rappresenta oggi la possibilità di percorrere questa strada. Ed è l’ultimo treno per la Finlandia.

POLITICA ESTERA 

 

09/01/2023

da Remo Contro

Ennio Remondino

 

Lo avevano preannunciato e alla fine lo hanno fatto, seguendo le orme delle «truppe trumpiane». I seguaci di Jair Bolsonaro, l’ex presidente di estrema destra brasiliano sconfitto da Inácio Lula da Silva alle presidenziali, dopo giorni di «assedio» ai palazzi istituzionali di Brasilia, domenica pomeriggio hanno sfondato un blocco delle forze di sicurezza -questione chiave da chiarire-, e hanno «invaso» il Palazzo presidenziale di Planalto, il Congresso e la sede del Tribunale supremo, postando video sui social e compiendo vari atti vandalici.
Un’occupazione chiaramente ispirata dall’assalto al Campidoglio statunitense ad opera di decine di manifestanti pro-Trump, nel gennaio di due anni fa. Finalmente il massiccio intervento della polizia, con scontri, la liberazione degli edifici simbolo della democrazia brasiliana e centinaia di arresti.

   

Bolsonaro come Trump

Un vero e proprio assalto molto ben coordinato, prima mimetizzato da protesta popolare solo rumorose che poi si è svelata violenta e devastatrice nei confronti delle massime istituzioni democratiche del Paese, il Congresso e la sede del Tribunale supremo. All’interno del Planalto, capolavoro modernista dell’architetto Oscar Niemeyer, i dimostranti hanno distrutto arredi, tavoli e sedie, facendo irruzione anche nell’ufficio del presidente Lula che ieri si trovava nello Stato di San Paolo, dove ha organizzato una riunione d’emergenza con i ministri prima di rientrare nella capitale.

Vandali contro la democrazia

I «terroristi», come li ha subito definiti la stampa brasiliana e ora le stesse istituzioni, dopo aver semidistrutto il primo piano del Parlamento, si sono asserragliati nel secondo. Durante l’attacco dei bolsonaristi alla Corte Suprema inoltre è stata anche rubata una copia della Costituzione del 1988, la cui sorte finale non è certa. Quasi un simbolo per la sorte della stessa democrazia in Brasile. Soltanto dopo alcune ore, le forze di sicurezza sono riuscite a riprendere il controllo dei tre palazzi, utilizzando i gas lacrimogeni e procedendo ad almeno 400 arresti, secondo le denunce a caldo.

Lula, la polizia militare e la risposta politica

Durissimo il primo commento di Lula che in un intervento tv alla nazione ha denunciato i «fanatici fascisti», affermando che «tutti i responsabili di atti terroristici saranno identificati e puniti». Il presidente ha accusato la polizia militare di «incompetenza o malafede». Poi, su twitter, ha scritto che i vandali erano stati «incoraggiati dai discorsi di Bolsonaro».

I presunti brogli

Vestite con la maglia verdeoro della squadra di calcio brasiliana, diventata un simbolo della destra nazionalista, da giorni centinaia di persone manifestavano davanti al quartier generale dell’esercito a Brasilia, denunciando presunti brogli elettorali mai dimostrati. La stessa regia statunitense di Trump. Nel primo pomeriggio i «bolsonaristi» organizzatisi sono radunati sulla Praça dos Três Poderes, la piazza dei tre poteri, cuore della capitale. Un gruppo è riuscito a superare lo sbarramento di sicurezza, salire la grande scalinata del Congresso, occupare le balconate e infine entrare nell’edificio. Altri hanno assaltato il Planalto e la sede del Tribunale Supremo.

La tracce di una trama

Con un decreto d’urgenza Lula ha esonerato il governatore del Distretto federale della capitale, Ibaneis Rocha, che molti accusano di essere vicino a Bolsonaro e che in seguito si è scusato pubblicamente, e ha dato pieni poteri d’intervento alle forze federali. Esonero poi ufficializzato nella notte dal presidente della Corte suprema federale. Oltre 2.500 militari ieri sera erano pronti a intervenire, ma il governo era restio a mobilitare le forze armate per ristabilire l’ordine nella città mentre anche a San Paolo si segnalavano manifestazioni dell’opposizione.

I bolsonaristi dunque non si arrendono ma anzi, mostrano di muoversi in maniera coordinata, obbedendo ad una regia. Dopo i blocchi stradali, con camion e trattori, che avevano paralizzato l’intero Brasile all’indomani del voto, il gesto clamoroso di ieri.

Bolsonaro al sicuro in Florida

Jair Bolsonaro, che ha lasciato il Brasile 48 ore prima dell’insediamento di Lula, giustifica, quasi e rivendicare: «Le manifestazioni pacifiche, secondo la legge, fanno parte della democrazia». Poi concede che i saccheggi e le distruzioni solo illegali. Il neo ministro della Giustizia, Flavio Dino, ha convinto tutti i governatori a firmare una condanna unanime degli assalti. «È stato un atto di golpismo. La presa di potere di cui parlano i dimostranti può avvenire solo nel 2026, con una nuova elezione», ha detto.

Le condanna Usa, Ue e OnuAnche la comunità internazionale, da Washington a Bruxelles, ha subito espresso solidarietà a Lula. E nella notte la premier italiana Giorgia Meloni ha twittato: «Le immagini dell’irruzione nelle sedi istituzionali sono inaccettabili e incompatibili con qualsiasi forma di dissenso democratico». Condanna che è arrivata anche dall’Onu con una nota che esprime «preoccupazione per gli eventi» di Brasilia.

Da oggi il tempo e la necessità di capire meglio la reale portata dei fatti di Brasilia e sugli obiettivi reali del movimento ‘bolsonarista’ che ha ormai reso esplicite le sue intensioni eversive violente. Golpismo in versione populista con aspetti anche caricaturali, già visti a Capitol Hill due anni fa, ma da non sottovalutare. Per Bolsonaro un sempre più improbabile ritornbo in patria, salvo esercito alla sua spalle

 

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA 

 

08/01/2023

da La Notizia

Domenico Iovane

 

Carburanti, prezzi in continuo aumento con le Associazioni dei consumatori che lanciano l’allarme. In modalità servito la benzina arriva a costare 2,392 euro/litro sulla A1 Roma-Milano, e il gasolio va verso 2,5 euro al litro (2,479 euro); sulla Autostrada A4 (Brescia-Padova) la benzina a 2,384 euro/litro, diesel 2,449 euro/litro. Altri rincari si registrano anche per bus e metro.

 

I prezzi del carburanti aumentano sempre di più e di conseguenza non si placano le polemiche della politica ma anche del mondo dell’associazioni dei consumatori. Dopo le parole per niente rassicuranti e probabilmente fuori luogo del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, si è accesa la discussione sui rincari.

 

“I prezzi dei carburanti sembrano fuori controllo – dice il presidente del Codacons Carlo Rienzi – Dopo lo stop al taglio delle accise si assiste a forti incrementi dei listini alla pompa in tutto il territorio, la cui entità non sembra in alcun modo giustificata dall’andamento delle quotazioni petrolifere – afferma il presidente Carlo Rienzi – Per tale motivo abbiamo presentato un esposto a 104 Procure di tutta Italia e alla Guardia di finanza, chiedendo di indagare sui prezzi di benzina e gasolio allo scopo di accertare eventuali speculazioni o rialzi ingiustificati”.

 

Allarme anche da Consumerismo“Il rialzo della tassazione sui carburanti, insieme con l’aumento dei prezzi industriali di benzina e gasolio, avrà conseguenze pesanti per le famiglie italiane – spiega il presidente Luigi Gabriele – La corsa di benzina e gasolio rischia infatti di innescare rincari a cascata con effetti sui prezzi al dettaglio stimati tra un +0,3% e un +0,6%”.

 

Anche le opposizioni politiche alzano la voce. Gli “aumenti impatteranno non poco sulle già fragili economie familiari, visti i rincari registrati nell’anno appena terminato”, sottolinea il vicepresidente della Camera dell’M5s, Sergio Costa“I prezzi di benzina e diesel crescono ancora con ripercussioni anche sul carrello della spesa – scrive su Twitter la capogruppo del Pd al Senato Simona Malpezzi – L’inflazione rallenta meno che in altri Paesi e si mangia i salari. Il governo che all’opposizione aveva tutte le soluzioni in tasca, ora cosa intende fare per tutelare i cittadini?”.

Rincari anche su biglietti di bus e metro

In questo inizio di nuovo anno, il Codacons ha lanciato l’allarme dei rincari anche sui biglietti di bus e metro. Addirittura si parla di una spesa di circa 2.400 euro in più a famiglia. Il presidente di Assoutenti Furio Truzzi ha affermato che “la cosa peggiore è che si tratta di rincari del tutto ingiusti, con i consumatori chiamati a pagare il conto della crisi economica in atto”.

 

Assoutenti ha pubblicato una mappa in cui si rileva che il biglietto degli autobus è in aumento da Nord a Sud. A Napoli si è passati da 1 euro si è passati a 1,20 euro. A Milano il rincaro sarà in vigore dal 9 gennaio, anche qui con 20 centesimi in più, per un prezzo finale pari a 2,20 euro.

 

A Parma il costo del biglietto è in aumento di 10 centesimi: da 1,50 euro si arriverà a 1,60 euro. Sono 20 invece i centesimi in più che si dovranno pagare a Ferrara, da 1,30 a 1,50 euro. A Foggia dal mese di marzo una corsa semplice costerà 1 euro, 10 centesimi in più rispetto alla cifra attuale. Aumento decisamente più importante nella Capitale (+33%): un biglietto del bus a Roma da agosto costerà ben 2 euro, a fronte dell’attuale 1,50 euro.

 


 

EDITORIALI E COMMENTI  

 

07/01/2023

da Remo Contro

 

Il ritorno dell’uso della forza come strumento di soluzione delle contrapposizioni tra Stati come non accedeva dalla fine della Guerra Fredda. Le guerre preventive scatenate da Azerbaijan e Russia contro Armenia e Ucraina ne sono l’esempio ultimo e più clamoroso. I ‘punti caldi’ del pianeta: dove può scoppiare la prossima guerra, analizzati da Andrea Muratore su InsideOver. Alla scoperta paurosa di un disordine mondiale con protagonisti incerti.
Un assaggio dei rischi più probabili? Mar Cinese Meridionale: le fortificazioni cinesi. Curili: quelle tensioni mai sopite tra Russia e Giappone. Gotland, la roccaforte sul Baltico. E la ‘barriera’ statunitense nel Pacifico Occidentale.

   

Fine del mondo unipolare Americano

Il mondo alle prese col crollo dell’utopia unipolare del mondo a guida esclusiva statunitense. «Dall’illusorio ordine globale al grande disordine internazionale, anarchico e senza regole precise», la premessa dell’analista Andrea Muratore. E da questo arrivano i focolai di tensione favorito dal graduale disfacimento dei vecchi equilibri di potenza. ‘Guerra ibrida’ ed economica hanno fatto il resto portando le potenze a contrastarsi in varie aree del mondo.

Vecchi conti in sospeso e nuovi da saldare

«Conflitti congelati o a bassa intensità prossimi a risvegliarsi, aree di mondo aspramente contese tra potenze, punti di contatto tra imperi vecchi e nuovi tornati a confrontarsi, zone a rivendicazione politica multipla: le fasce di tensione dove la prossima guerra potrebbe esplodere sono numerose».

Siria, Libia, Yemen, bombe non disinnescate

Il Grande Medio Oriente e l’area del Nord Africa. «Quella in Siria è la più violenta tra le guerre congelate senza un esito definitivo, anche se formalmente nessuno mette più a repentaglio la permanenza al potere del regime alauita di Bashar al-Assad». Di fatto il Paese non ha ancora ritrovato la sua unità, e la ripresa delle operazioni turche contro i Curdi del Rojava, con scoperte complicità con i reduci dell’IslamiC State, ci dicono dei gravi problemi di stabilità che ha ancora il Paese.

Guerra civili aperte in Yemen e Libia

«Oltre alla Siria anche Yemen e Libia sono Paesi spaccati dalle proprie guerre civili la cui priorità è quella di uscire dal pantano che le vede aree di conflitto e guerre per procura tra eterogenei mosaici di potenze». Forse risulta più appropriato parlare di sporchi interessi più che di ‘eterogenei mosaici di potenze’. «Queste tre nazioni corrispondono ad altrettanti ‘buchi neri’ geopolitici e strategici fonte di tensione per l’ordine internazionale, come del resto un’altra area spesso sottovalutata, il Sahel».

Usa e Cina, il fronte del Pacifico

Dove il rischio di confronto tra grandi potenze è diretto. Primo tra tutti, il Mar Cinese Meridionale, dove il braccio di ferro tra Cina e Stati Uniti è ormai in corso da tempo e sotto diverse forme. Sfide esplicite: militarmente le esercitazioni navali di Pechino nello Stretto di Taiwan; politicamente, la visita della Speaker della Camera di Washington Nancy Pelosi nell’isola. Tra prove di forza e provocazioni.

Le isole inventate ed armate

Molto più concreta la militarizzazione cinese di tre delle numerose isole che ha costruito nel conteso Mar Cinese Meridionale, «armandole con sistemi missilistici di vario tipo, primo fra tutti il Donfeng-21 antinave». Il Guardian ricorda come in occasione dello sforzo cinese decisivo, a marzo, per ‘armare’ i suoi territori artificiali, «il comandante indo-pacifico degli Stati Uniti, l’ammiraglio John C Aquilino, ha affermato che le azioni ostili erano in netto contrasto con le precedenti assicurazioni del presidente cinese Xi Jinping che Pechino non avrebbe trasformato le isole artificiali in acque contese in basi militari».

Spratly tra Filippine e Vietnam

«Nelle isole Spratly contese con numerose altre nazioni, prime fra tutte Filippine e Vietnam, la Cina usa dei pescherecci come arma di proiezione e mediamente essi gettano l’ancora nell’arcipelago conteso dell’Indo-Pacifico per almeno nove mesi all’anno», riferisce sempre Andrea Muratore. Mentre Washington risponde con un ‘articolato sistema di presenza navale’. Due flotte, la Terza e la Settima, con le portaerei Nimitz, Carl Vinson, Ronald Reagan e Theodore Roosevelt schierate a San Diego e la Abraham Lincoln a Yokosuka in Giappone.

Oltre a Taiwan, armata fino ai denti per difendersi, Washington per contenere la Cina conta ovviamente sul Giappone, sul redivivo Vietnam e sulla base dell’aeronautica e navale di Guam.

Kashmir e Curili, terre contese

Sempre in Asia, l’aggressione russa all’Ucraina e la tragica morte dell’ex premier Shinzo Abe hanno ad esempio riacceso i fari sulla rivendicazione giapponese sulle Isole Curili, ‘strappate’ a Tokyo dall’Unione Sovietica dopo la breve guerra lanciata da Mosca all’impero nipponico nell’agosto 1945. «L’omicidio di Abe ha tolto al Giappone l’unico statista che avesse provato una strategia diplomatica per gradualmente avvicinarsi a una soluzione della questione con la Russia».

Kashmir tra India e Pakistan

«Ancora più problematica la situazione del Kashmir conteso tra l’India e il Pakistan, con Nuova Delhi che ne controlla una parte consistente». Il controverso statuto della regione, è in discussione dal 1947, e in passato India e Pakistan si sono combattute ben quattro volte (1948, 1965, 1971 e 1998). Tensione che resta alta, ora tra due potenze nucleari, a preoccupare giustamente il mondo.

Baltico, gelido ‘mare caldo’

Del 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione dell’Ucraina, il Mar Baltico, è diventato il punto più critico del confronto tra campo euroatlantico e Federazione Russa. La linea di espansione della Nato, destinata a estendersi a Svezia e Finlandia nei prossimi anni, rispetto alla presenza militare russa a Kaliningrad e nella regione di San Pietroburgo. Nel Baltico «la flotta russa più consistente della regione e le forze armate dei Paesi europei più anti-Mosca: Estonia, Lettonia, Lituania e, soprattutto, Polonia».

E proprio il Baltico potrà essere l’epicentro delle tensioni nei prossimi anni. Perno europeo di un grande disordine mondiale in cui a piccoli e medi focolai si sommano grandi sfide. E che può far germogliare i semi di nuove conflittualità negli anni a venire.

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA        

 

05/01/2023

da La Notizia

Ilaria Minucci

 


Continua la polemica sul decreto sull Ong approvato dal Governo Meloni che valica i confini nazionali e approda in Ue.


L’Ue ha respinto in toto il decreto sulle Ong approvato dal Governo Meloni a inizio anno. E, mentre Bruxelles ha ammonito l’Italia invitando il Paese a rispettare le leggi internazionali, le organizzazioni che si occupano del soccorso dei migranti nel Mediterraneo hanno sottoscritto un documento di protesta contro l’esecutivo di Roma.

L’Ue boccia il decreto sulle Ong del Governo Meloni

“Non spetta all’Ue guardare nello specifico il contenuto di questo decreto. Indipendentemente da cosa l’Italia stia facendo tramite un decreto, i Paesi membri devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare”. A dirlo è stata Anitta Hipper, portavoce della Commissione europea, durante un briefing con la stampa. Rispendendo a una domanda sulla diatriba che vede protagonisti il Governo Meloni e le Ong dopo l’approvazione del decreto da parte dell’esecutivo italiano, Hipper ha anche precisato: “Salvare vite in mare è un obbligo morale e legale“.

“Le nostre regole per la richiesta d’asilo sono chiare: tutti i cittadini dei Paesi terzi devono poter richiedere l’asilo, anche quando si trovano in acque territoriali”, ha spiegato la portavoce della Commissione Ue. E ha voluto ricordare il principio secondo il quale “salvare le persone in difficoltà in mare è un obbligo morale e un dovere legale, indipendentemente dalle situazioni che le hanno portate a trovarsi in quella condizione di difficoltà”.

Bruxelles ammonisce l’Italia: rispetti le leggi internazionali.Dilettanti allo sbaraglio

Mentre Hipper delineava con estrema chiarezza la posizione di Bruxelles rispetto a quanto sta accadendo in Italia, le Ong che operano nel campo del soccorso nel Mar Mediterraneo hanno scelto di sottoscrivere un documento con il quale hanno rimarcato la loro contrarietà al regolamento approvato dal Governo Meloni. “Esprimiamo la nostra più viva preoccupazione per l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare l’assistenza alle persone in difficoltà in mare”, si legge nel documento unitario redatto dalle Ong.

Le organizzazioni hanno anche denunciato che “il nuovo decreto legge, firmato dal Presidente italiano il 2 gennaio 2023, ridurrà le capacità di soccorso in mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo”.

Sembra sempre più evidente, quindi, che l’Italia possa preso ritrovarsi a essere isolata in Europa per quanto riguarda la gestione di Roma delle politiche migratorie. A questo proposito, soltanto ieri, mercoledì 4 gennaio, la Svezia – presidente di turno Ue per i prossimi sei mesi – ha annunciato che non verranno considerate revisioni del meccanismo di redistribuzione dei migranti, mandando in fumo le speranze del Governo Meloni che ha più volte dichiarato di essere intenzionato a portare il tema sul tavolo.

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA

 

04/01/2023

da Left

Giulio  Cavalli

 

«Bollette da infarto, insostenibili per troppi italiani. Il governo si sta dimostrando del tutto inadeguato ad affrontare questa emergenza nazionale», dice l'Unione nazionale consumatori. Poi c'è l'aumento del prezzo della benzina e del gasolio. E dei pedaggi autostradali, delle assicurazioni auto, dei biglietti dell'autobus...

 

Il prezzo del gas è sceso sensibilmente nei mercati internazionali ma continua a salire nelle case degli italiani. L’aggiornamento mensile dell’authority Arera segnala che i clienti del mercato di maggior tutela (per un tragico gioco di parole) subirà a dicembre un aumento medio del 23,3% rispetto al mese di novembre che determina per il 2022 un esborso cresciuto del 64,8%.

 

«Una Caporetto. Al rincaro di novembre del 13,7% si aggiunge ora quello di dicembre. Bollette da infarto, insostenibili per troppi italiani», commenta Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione nazionale consumatori. «Se il prezzo del gas sale del 23,3% rispetto a quello di novembre 2022, aumenta del 55,9% rispetto a un anno fa, ossia rispetto a dicembre 2021 e del 125% nel confronto con dicembre 2020. Il governo si sta dimostrando del tutto inadeguato ad affrontare questa emergenza nazionale, limitandosi a riciclare quanto fatto da Draghi nonostante la situazione sia nel frattempo profondamente peggiorata».

 

Il costo di benzina e gasolio è salito di circa 20 centesimi al litro rispetto al 30 dicembre. Questo perché il 2023 si è aperto con l’aumento delle accise su benzina, gasolio e Gpl. Poi ci sono i costi autostradali: le tariffe dal primo gennaio sulla rete di Aspi – ora è controllata dalla Cassa depositi e prestiti con i fondi Macquarie e Blackstone – sono aumentate del 2%. E a luglio è previsto un ulteriore rincaro dell’1,34%. In base alle elaborazioni di Assoutenti, per andare da Roma (sud) a Milano (ovest), ad esempio, il pedaggio sale dai 46,5 euro del 2022 a 47,3 euro. A luglio, in tempo per le vacanze estive, arriverà 48 euro a luglio, con un aumento di 1,5 euro. Da Napoli (nord) a Milano si spendevano lo scorso anno 58,6 euro: ora servono 59,7 euro (60,5 euro a luglio, +1,9 euro). Per la tratta Bologna-Taranto la spesa sale da 55,1 euro a 56,1 euro del 2023 (56,9 euro da luglio, +1,8 euro).

 

L’assicurazione delle auto aumenta per 815mila automobilisti che hanno peggiorato la propria classe di merito. Ma non solo: l’Osservatorio Facile.it rileva che «il dato assume ancora maggior gravità se si considera che, a dicembre 2022, il premio medio Rc auto registrato in Italia è stato di poco superiore ai 458 euro, vale a dire ben il 7,23% in più rispetto ad un anno prima». Secondo l’analisi del comparatore – su un campione di oltre 720mila preventivi raccolti su Facile.it a dicembre – il numero di automobilisti colpiti dai rincari è in crescita del 2% rispetto allo scorso anno. In un Paese, tra l’altro, in cui più di 700mila italiani hanno saltato il pagamento della polizza auto. Nel 2023 i morosi sono destinati ad aumentare visto, secondo il rapporto, che «sono oltre 1,5 milioni gli italiani che hanno ammesso di poter essere obbligati a saltare il prossimo rinnovo in caso di ulteriori rincari».

 

A Milano dal 9 gennaio il biglietto ordinario Atm passerà da 2 a 2,20 euro, il carnet da dieci corse da 18 a 19,50 euro, il giornaliero da 7 a 7,60 euro e il biglietto valido per tre giorni da 12 a 13 euro. Anche a Roma sono in arrivo rincari: il Contratto di servizio per il trasporto pubblico ferroviario di interesse regionale e locale siglato tra Regione Lazio e Trenitalia prevede che da luglio 2023 il biglietto integrato a tempo, che dura 100 minuti, salga da 1,50 a 2 euro, mentre gli abbonamenti mensili saliranno da 35 a 46,70 euro e gli annuali da 250 a 350 euro.

 

Per l’elettricità, secondo le stime dell’authority per l’energia, la spesa della famiglia-tipo nell’anno compreso tra il 1° aprile 2022 e il 31 marzo 2023 sarà di circa 1.374 euro,+67% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente. Nonostante il calo del 19,5% del prezzo di riferimento per il primo trimestre.

 

La manovra modifica le aliquote di accisa sui trinciati, prevedendo un aumento di quella di base dal 59 al 60% e di quella minima da 130 euro a 140 per kg per ottenere un maggior gettito di 50,1 milioni. Con il risultato che le sigarette fai-da-te costeranno fino a 40 centesimi in più. Per quanto riguarda le bionde, l’accisa passa da 23 a 28 euro al kg. Un pacchetto che nel 2022 costava 5 euro rincara dunque di circa 10-12 centesimi.

POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA

 

03/01/2023

da La Notizia

Greta Lorusso

 

I poveri, e poi il Covid, i rincari, il congresso Pd. Con l’arrivo del nuovo anno ci sono alcuni temi destinati a scomparire dai radar.

I poveri, e poi il Covid, i rincari, il congresso Pd. Con l’arrivo del nuovo anno ci sono alcuni temi che un po’ per l’inerzia delle forze politiche e un po’ per furore ideologico e incapacità del nuovo governo di destra–centro sono destinati a scomparire dai radar e sono stati già relegati ai margini dalla memoria della politica ma che la società non dimentica e prima o poi verrà a chiederne conto.

 

Reddito di cittadinanza. Con la nuova legge di Bilancio per i cosiddette occupabili il sussidio potrà durare al massimo altri sette mesi. Nell’attesa questa platea di persone – circa uno su quattro dei beneficiari – dovrebbe frequentare corsi di formazione propedeutici all’inserimento nel mercato del lavoro. Basterà rifiutare anche una sola offerta e si decadrà dal sussidio. Ma il tentativo di eliminare la parola congruità per l’offerta non è andato al momento in porto. Tutta la materia dovrà essere riordinata dal governo in un decreto atteso con tutta probabilità entro la fine di questo mese.

 

Per i 18-29enni che non hanno finito la scuola dell’obbligo il sussidio è subordinato alla frequenza di corsi formativi. Peccato però che in Italia si sconta un’endemica difficoltà a trovare lavoro e che le Regioni hanno praticamente tagliato le gambe ai Centri per l’impiego. Sulle politiche attive era intervenuto il governo Conte I, prevedendo un piano di 11.600 nuove assunzioni entro fine 2021 nei Centri per l’impiego e stanziando un miliardo di euro. Le Regioni, 14 delle quali in mano alla Destra, hanno mancato l’obiettivo e ad oggi risultano effettivamente inseriti nei Cpi solo il 33% dei nuovi addetti.

 

Il risultato è che nell’anno che verrà circa 700 mila persone che non troveranno lavoro nell’arco di 7 mesi non avranno più un sussidio per campare. E non è ancora chiaro che fine faranno coloro che percepiscono il Reddito come integrazione al loro salario, vale a dire i lavoratori poveri. E che non possono certo essere accusati di essere divanisti e fannulloni, perché un lavoro ce l’hanno ma è malpagato e precario.

 

A ciò si aggiungano le previsioni di autorevoli studi (Svimez) che annunciano 700mila nuovi poveri nel 2023. Come se non bastasse oltre a voler cancellare il Reddito di cittadinanza il governo Meloni intende cancellare altre misure del M5S, come il Superbonus che ha fatto da volano all’economia creando 900mila posti di lavoro.

 

Dalla Cina il Covid è tornato a terrorizzare il mondo e il governo che fa? pensa bene di farlo sparire per decreto. Il decreto Rave non consente solo agli operatori sanitari che si erano rifiutati di vaccinarsi di rientrare al lavoro ma cancella di fatto tutti gli obblighi presi a suo tempo contro il virus. Sospende le multe da 100 euro con cui sono state sanzionate le persone con più di 50 anni, che non hanno rispettato l’obbligo vaccinale, annulla l’obbligo di effettuare un test rapido o molecolare alla prima comparsa dei sintomi e per uscire dall’isolamento dopo aver contratto il Covid.

 

E ancora: riduce la durata del regime di auto-sorveglianza per chi è entrato in contatto con persone positive e toglie l’obbligo di sottoporsi a tampone una volta finito il periodo di auto-sorveglianza. Abroga, poi, le misure che consentivano l’accesso alle strutture socio-sanitarie solo alle persone munite di green pass. Non solo. A partire dal 1° gennaio il numero di pubblica utilità “1500” attivato nel 2020 per offrire consulenza telefonica e informazioni sul Covid è stato sospeso. Con il risultato che cinquecento lavoratori Almaviva Contact, impiegati per lo più tra Catania e Palermo, si ritroveranno in mezzo alla strada.

 

Di tempo n’è passato da quando Matteo Salvini prometteva che avrebbe cancellato le accise sulla benzina. Ora che è tornato al governo come vicepremier e ministro è responsabile del colpo di spugna con cui l’esecutivo ha cancellato gli sconti sui prezzi dei carburanti. Non solo. È scattato l’aumento del 2% per i pedaggi di Autostrade per l’Italia. E a luglio è previsto un altro aumento dell’1,34%.

 

Assoutenti segnala poi nel nuovo anno rincari anche per i prezzi dei biglietti di bus e metro. Addirittura a Roma da agosto il prezzo passerà dagli attuali 1,50 euro a 2 euro: un aumento di ben il 33%.

Codacons stima che quest’anno gli italiani rischiano di andare incontro ad una stangata media da +2.435 euro a famiglia a causa proprio dei rincari di prezzi e tariffe. E la cifra non tiene conto dei possibili aumenti delle bollette di luce e gas.

 

Già così non appassionano nessuno le vicende congressuali in casa del Pd che sembrano essere scomparse dai radar dei media e dell’opinione pubblica. Ad aggravare il dibattito stantìo su chi sarà il successore di Enrico Letta arriva l’ipotesi di rinviare di una settimana la data delle primarie: dal 19 al 26 febbraio. Su questa proposta, finalizzata a distanziare il voto sul successore di Letta dalle elezioni regionali sarebbe in corso una consultazione informale dei candidati alla segreteria. In ogni caso una decisione dovrebbe passare dal vaglio della direzione o dell’assemblea che si riunirà intorno al 20 gennaio.

 

Dal comitato di Stefano Bonaccini fanno sapere di non voler commentare l’ipotesi di slittamento della data del congresso ma traspare irritazione: “Noi ci siamo attenuti ai tempi stabiliti, già piuttosto lunghi”. E mentre il dibattito congressuale langue il mondo delle correnti pare implodere e moltiplicarsi. Piero Fassino ha mollato il suo capo corrente di Areadem, Dario Franceschini, per dar vita a un nuovo “incubatore” di idee.

 

Si chiama Iniziativa democratica, la nuova corrente, e sposa la candidatura di Bonaccini. Il tutto mentre tra gli iscritti e i sostenitori del partito impazzano le proteste. Il motivo? Vorrebbero pesare di più. L’unico strumento affidato agli iscritti, in attesa della discussione delle mozioni dei candidati , è la “Bussola”, un questionario affidato alla gestione della Ipsos di Nando Pagnoncelli, che dovrebbe delineare i temi fondanti del nuovo Partito democratico.

 

Un lungo elenco di domande in cui il sostenitore dovrebbe mettere delle crocette sui futuri obiettivi del partito. Insomma, un altro cervellotico strumento che allontana ancora di più il partito dalla gente.

 

Leggi anche: CON IL 2023 ARRIVA UNA LUNGA LISTA DI RINCARI

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