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POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

04/11/2022

da Left

Di Mauro Sentimenti

 

Il 5 novembre in piazza, per la pace. Una risposta a Flores D’Arcais

 

Chi lo ha detto che l’Ucraina, la sua popolazione e i suoi confini si possono difendere solo con la guerra e non all’opposto tramite la mediazione internazionale che come primo obiettivo deve proporsi di garantire la sua integrità territoriale?

 

Due modi di intendere la pace e la guerra: a proposito dell’appello di Flores D’Arcais ed altri apparso su Micromega relativo alla manifestazione di Europe for Peace. Tutti a Roma il 5 novembre.

 

Cessate il fuoco e immediata conferenza internazionale di pace sono gli obiettivi per i quali Europe for peace ha indetto la manifestazione del 5 novembre. Flores D’Arcais e altri invitano a parteciparvi sulla base di una indicazione, implicitamente denigratoria di quegli stessi obiettivi, secondo la quale «pace vuol dire il ritiro dell’aggressore entro i suoi confini, ogni altra soluzione sarebbe un premio a chi la pace l’ha violata», dato che «Quando una dittatura imperialista invade con il suo esercito una democrazia…la risposta, per ogni democratico, è adamantina».

 

Le differenze tra le due posizioni sono reali e profonde: quella di Flores D’Arcais segnata da manicheismo impolitico, bene contro male, di cui è facile mostrare la fragilità; quella di Europe for Peace che mentre condanna senza riserve la Russia guarda anche a cause e conseguenze della guerra, agli obiettivi da raggiungere con una conferenza internazionale di pace. Chi lo ha detto che l’Ucraina, la sua popolazione e i suoi confini si possono difendere solo con la guerra e non all’opposto tramite la mediazione internazionale che come primo obiettivo deve proporsi di garantire la sua integrità territoriale? Aiutando la popolazione sanzionando la Russia, puntando tuttavia ad affrontare contestualmente i problemi da cui la stessa guerra è stata originata: mancato rispetto degli accordi di Minsk, allargamento Nato, diritti minoranze russofone, referendum sotto controllo Onu, mancata ripresa dei trattati di non proliferazione nucleare e di sicurezza per tutti, aumento esponenziale spese militari a scapito di ambiente, fame, uguaglianza.

 

Come dice Bernie Sanders, con lo stesso realismo di Europe for Peace, «non abbiamo visto sanzioni contro gli americani quando hanno distrutto l’Iraq. Anche se la Russia non fosse stata governata da un oligarca corrotto e da un leader autoritario come Putin, Mosca continuerebbe ad avere interessi nella security policy dei propri vicini» (Intervento al Congresso Usa, febbraio 2022). La scelta di inviare armi all’Ucraina è sbagliata – anche senza scomodare la Costituzione – per due semplici ragioni: La prima: bastano e avanzano quelle fornite all’esercito ucraino in enormi quantità da 10 anni a questa parte da Stati Uniti e Nato (senza consultare né Onu né Ue); La seconda: il contributo in armi dell’Europa ci rende patetiche comparse in un dramma governato politicamente e militarmente da altri (Usa e Nato) che impediscono in via di principio un ruolo politico autonomo dell’Europa stessa e dell’Onu nella ricerca di una soluzione pacifica. Impossibile non vedere che sono gli Stati Uniti a decidere se e quando fermare la guerra: non solo per tutelare il giusto diritto di quel Paese alla propria sovranità ma agli ulteriori scopi di riscrivere la geopolitica globale, favorire un riarmo generalizzato e rendere sempre meno evitabile la prossima guerra contro la Cina. Questo non giustifica in alcun modo la Russia ma spiega di che cosa stiamo parlando. Impossibile non vedere ma i firmatari dell’appello ci riescono. Come scrisse Musil parlando della crisi europea agli inizi del 900 “abbiamo visto molto ma di nulla ci siamo accorti”.

 

E a proposito di bene e male ricordo a Flores alcune vicende che illustrano l’indifendibilità delle posture manichee che mai aiutano ad essere obiettivi. Gli esempi sono tanti: Ecco il primo. Il 26 Febbraio 1991, a Kuwait City l’aviazione Usa compì una strage di civili equivalente a 3 o 4 Srebrenica: «C’erano tantissimi lavoratori stranieri con le loro famiglie, Gli aerei americani fecero due attacchi … Il secondo attacco fece un completo sterminio e il risultato fu di un numero oscillante tra i 20.000 e i 30.000 esseri umani bruciati vivi…» (in International Press agency, 24 febbraio 2020). Nello stesso giorno in cui questo accadeva Flores D’Arcais presentò alla direzione del Pds un ordine del giorno di sostegno incondizionato a quella guerra e mai disse, che io sappia, una sola parola contro la strage e i suoi responsabili. Né nessuno fu mai chiamato a risponderne.

 

Ma c’è anche una seconda motivazione. La manifesta illegittimità della guerra alla Serbia da parte di Nato e Stati Uniti – secondo la Carta delle Nazioni unite – è nota al mondo e non c’è bisogno sul punto di aggiunger parola. Anche in quel caso c’era un aggressore e un aggredito ma Flores D’Arcais sostenne l’aggressore argomentando che i crimini di Milosevic lo esigevano (si veda il suo articolo su Micromega, n.2/1999) incurante del fatto che si distruggeva così l’autorità dell’Onu e la legalità internazionale. Infine una terza argomentazione: era il 17 gennaio 1991, quando l’aviazione Usa e alleata (tra cui gli italiani) sganciò in Iraq 250 mila bombe comprese quelle a grappolo che causarono 100 mila morti militari e altrettanti civili, e moltissimi altri civili e bambini morirono poi causa un regime sanzionatorio applicato anche all’importazione di beni primari e farmaci. E si potrebbe continuare sui crimini nella Palestina occupata illegalmente, su quelli degli Stati Uniti svelati da Julian Assange, fondatore di Wikileaks, perseguitato dai responsabili di quei medesimi crimini e dal democratico imperialismo che ne è all’origine.

 

La morale che si può trarre da tutto questo si trova in Danilo Zolo e nel suo Chi dice umanità (Einaudi 2001) dove si mostra come i problemi della convivenza nel mondo determinati dai conflitti per l’uso delle risorse vengono in genere resi irrisolvibili dagli eserciti dei “paladini del bene”. Così di guerra in guerra in una escalation senza fine, svuotando granai e riempiendo arsenali le ricchezze del mondo si sono concentrate nelle mani di pochissimi, 250 milioni di bambini vivono in zone letali di guerra, pandemie mancanza di cibo e di vaccini, distruzioni ambientali fanno il resto. Questo giustifica i crimini di Putin? No e ancora no. Ma nemmeno giustifica le amnesie, la cecità e un manicheismo che alimenta tutti gli imperialismi, non solo quello russo. E che rende impossibile giungere ad un cessate il fuoco, al superamento della nuova guerra fredda in cui gli imperialismi ci hanno cacciato, alla costruzione di una mediazione, I peggiori nemici dell’Ucraina e della pace sapete quindi dove trovarli.

 

La manifestazione del 5 novembre e la conferenza internazionale che viene chiesta rappresentano una svolta nella coscienza europea che nessun manicheismo riuscirà a fermare. Si vuole infatti non solo salvare vite, ripristinare la sovranità dell’Ucraina ma avviare anche la costruzione di nuove regole per la convivenza nel mondo basate su giustizia e uguaglianza , che tutti nessuno escluso siano tenuti a rispettare.

 

L’autore: Mauro Sentimenti, avvocato, è rappresentante del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

Nella foto: manifestazione per la pace, Roma, 5 marzo 20

LAVORO E DIRITTI 

 

03/11/2022

Slang USB Milano

 

Riders Milano, riuscito lo sciopero USB contro i contratti peggiorativi: chiediamo l’applicazione del Ccnl logistica!

 

A novembre si aprirà un tavolo tra i sindacati confederali e l’associazione padronale Assodelivery che tiene insieme la maggior parte delle compagnie di delivery tranne Just Eat. La discussione verterà sul tipo di contratto da applicare: la linea che vorrebbero seguire è la stessa dell'accordo stipulato tra i sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil e Just Eat nel mese di marzo del 2021.

 

Nonostante le premesse in realtà questo accordo ha portato a un contratto peggiorativo rispetto a quello previsto dal contratto nazionale della logistica. Fatta eccezione per il riconoscimento della subordinazione del lavoro che ha sostituito un contratto da finti autonomi - scelta indiscutibilmente giusta -, il contratto applicato ai lavoratori di Just Eat in realtà ha derogato molti diritti, soprattutto in materia di salario. Il salario orario è misero pur includendo già la 13^ e la 14^; la maggiorazione della paga per le ore supplementari e straordinarie viene calcolata sulla paga oraria base risultando minore di quella oraria ordinaria.

 

Un altro punto fondamentale non affrontato dal contratto Just Eat è l’obbligo da parte dell’azienda di fornire i mezzi di trasporto e di protezione: non è accettabile che un rider che guadagna 12mila euro annui spenda fino alla metà del suo reddito per comprarsi il mezzo, bicicletta o motorino che sia, per lavorare. Oltre il danno arriva anche la beffa: se il mezzo di trasporto si danneggia o si rompe, al lavoratore spesso viene inviata una lettera di licenziamento perché non può più svolgere l’attività lavorativa.

 

Ci dichiariamo fermamente contrari alla stipula di un contratto di questo tipo. Per questo rivendichiamo di partecipare a quel tavolo, per rappresentare davvero gli interessi dei lavoratori nel settore delle consegne a domicilio. Chiediamo che venga applicato senza deroghe di alcun tipo il contratto nazionale della logistica per tutte le piattaforme di delivery; che vengano riconosciuti tutti i diritti e le tutele garantite da quel contratto, dal giusto salario al pagamento delle ferie e della malattia; che vengano forniti dall'azienda stessa i mezzi di trasporto e di sicurezza per lavorare, come accade in tutti i settori della logistica.

 

Per tutti questi inderogabili punti abbiamo indetto uno sciopero dei rider per oggi 2 novembre. Alle ore 11 in Stazione Centrale ci siamo trovati insieme ai lavoratori e poi ci siamo spostati davanti alla sede di Assodelivery per denunciare tutte le ingiustizie che subiscono, per ricordare tutti i morti e i feriti sul lavoro che sono la diretta conseguenza di questa letale competizione tra lavoratori voluta dalle compagnie di delivery e per richiedere l’applicazione del CCNL logistica mantenendo saldi tutti i diritti e le tutele previste.

 

La riuscita di questo sciopero sarà solo il primo passo per la costruzione di una forte rappresentanza sindacale all’interno di questo settore per potere incidere e farsi, così, portavoce degli interessi dei lavoratori.

EDITORIALI E COMMENTI

 

02/11/2022

Alex Zanotelli

Da il Manifesto

 

La speranza della pace nasce dal basso

 

5 NOVEMBRE. Oltre alla «Campagna contro le Banche Armate», si è pensato di lanciare il «Sei per la pace sei per mille», presentato presso la FNSI a Roma per manifestare concretamente la contrarietà alla politica degli armamenti anche attraverso la via fiscale per sottrarre risorse all’apparato militare.

 

«Nel novembre 2019 a Hiroshima ho ribadito-così scrive Papa Francesco nel suo recente libro “Contro la guerra” – che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è più che mai un crimine, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche.

 

Chi poteva immaginare che meno di tre anni dopo, lo spettro di una guerra nucleare si sarebbe affacciato in Europa? Pezzo dopo pezzo, il mondo rischia di diventare il teatro di un’unica Terza guerra mondiale. Ci si avvia come fosse inevitabile». Questa di Francesco è una autentica profezia politica che ci indica la gravità di questo momento.

 

Per questo è importante partecipare alla manifestazione nazionale del 5 novembre a Roma, indetta da “Europe for Peace”, espressione della società civile, a cui hanno già aderito centinaia di associazioni e reti. Dobbiamo scendere in piazza per gridare, urlare e così svegliare un popolo addormentato, che non si accorge di essere sull’orlo del precipizio di una guerra atomica o dell’estate incandescente.
Purtroppo, è la stessa presenza di Homo Sapiens, che è diventato Homo demens, a essere minacciata. (Non dimentichiamo che questo è dovuto sia al nostro stile di vita sia all’enorme complesso militar-industriale che protegge i ricchi di questo mondo.)

Il 5 novembre è il popolo a scendere in piazza con la sola bandiera della pace per chiedere: un immediato «cessate il fuoco» ad ambedue le parti, l’apertura di una conferenza internazionale per porre fine a questa guerra della Russia contro l’Ucraina che ha subito «un’aggressione inaccettabile, ripugnante, insensata, barbara e sacrilega» (cito sempre papa Francesco). E il papa continua: «La parola chiave di questa guerra è: imperialismi. La Nato è andata ad abbaiare alle porte della Russia senza capire che i russi sono imperiali e temono l’insicurezza ai confini. E dunque io vedo imperialismi in conflitto. E quando si sentono minacciati o in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra».

 

Il 5 novembre saremo a Roma per chiedere a «Putin di fermare il conflitto e a Zelensky di essere aperto a proposte di pace serie. Nella trattativa di pace occorrerà garantire i diritti della minoranza russofona, tener conto dei legittimi interessi di sicurezza della Russia e quindi non armare le frontiere nel rispetto dell’integrità territoriale di ogni nazione. E quindi l’Occidente deve rinunciare a umiliare la Russia» (ancora papa Francesco).
Su queste basi si può incominciare a trattare per porre fine a questa guerra che è un orrore e un errore e allora sperare nella pace.

 

Questa guerra è anche il trionfo del complesso militar-industriale oltre che russo, degli Stati uniti e dei nostri Paesi occidentali. Di fatti, nel 2021 abbiamo speso nel mondo 2.113 miliardi di dollari: al primo posto gli Usa con 813 miliardi di dollari (quasi il 40% del Pil) ,seguito da Cina (con 300 miliardi), India (76 miliardi), Russia (69 miliardi). L’Italia lo scorso anno ha speso ben 32 miliardi di euro.

 

Lo scorso Parlamento ha approvato l’incremento del 2% per le spese militari entro il 2024 e così si arriverà a 38 miliardi di euro. Per non parlare degli enormi investimenti sul nucleare: gli Stati uniti già con l’amministrazione Obama avevano investito più di mille miliardi di dollari per modernizzare il loro armamentario atomico e così abbiamo le nuove e più micidiali bombe nucleari, le B61-12 in arrivo ora in Italia. Perché spendere tanti soldi per il nucleare? La risposta l’aveva già data il noto arcivescovo di Seattle (Usa), R. Hunthousen: «Abbandonare queste armi nucleari significherebbe abbandonare il nostro posto privilegiato in questo mondo».

 

Saremo in piazza il 5 novembre per dire No alla follia delle armi chimiche, batteriologiche, nucleari e a tutte le altre armi. Più produciamo armi e più faremo guerre. Ma noi possiamo contrastare questa follia delle armi e delle guerre con azioni nonviolente che possono scardinare questo sistema di morte. Oltre alla «Campagna contro le Banche Armate», si è pensato di lanciare il «Sei per la pace sei per mille», che presenteremo oggi 2 novembre, alle ore 11, presso la FNSI a Roma per manifestare concretamente la nostra contrarietà alla politica degli armamenti anche attraverso la via fiscale per sottrarre risorse all’apparato militare. L’opzione fiscale diventa così forma di pressione. La pace non può aspettare. E dobbiamo tutti inventare pratiche concrete di nonviolenza per svuotare gli arsenali di armi. L’unica scelta che abbiamo è quella della nonviolenza attiva e come diceva Martin Luther King che l’ha praticata: «Ora o la nonviolenza o la non esistenza».

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

01/11/2022

da Left

Giulio Cavalli

 

Nel primo Consiglio dei ministri del governo guidato da Giorgia Meloni ci si è occupati di norme altamente “simboliche”, che non hanno nulla a che vedere con i reali bisogni urgenti del Paese. Su bollette, crisi energetica, guerra e povertà niente

 

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un tilt di comunicazione e di politica che ha apparecchiato una diretta urgente su un rave party come se fosse un’urgenza nazionale. Ne esce un Paese completamente fuori fuoco che inverte le priorità e si accomoda sul delirio generale: giornalisti che si sentono inviati di guerra mentre intervistano ragazzetti storditi dall’alcol e dal fumo, politici con il ciglio da prefetto Mori mentre esultano come se avessero eradicato le mafie in Italia, editorialisti che scrivono accigliati sull’antropologia del rave mentre frequentano circoli che sprofondano nella cocaina.

 

Giorgia Meloni, che non è ancora uscita dalla modalità della campagna elettorale, riunisce il Consiglio dei ministri giusto il tempo per presentarsi di fronte alle telecamere e annunciare una nuova legge ad hoc per evitare accampamenti alcolici. Per farlo si va a toccare il reato di “invasione di terreni o edifici, pubblici o privati” prevedendo la reclusione da 3 a 6 anni. Viva la legalità, esultano in molti. Sarà.

 

Dalla conferenza stampa sappiamo che l’opposizione all’opposizione e al governo precedente si rinforza con la decisione di reintegrare i medici non vaccinati e annunciando “discontinuità” con i governi precedenti. Su questo scrive bene la fondazione Gimbe: «Il potenziale impatto in termini di sanità pubblica sarebbe modesto – spiega la Fondazione – sia perché la misura viene anticipata di soli due mesi rispetto alla scadenza fissata, sia perché riguarda un numero esiguo di professionisti».

 

«Ben diverso – rileva il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – l’impatto in termini di percezione pubblica di questa “sanatoria” e delle relazioni con la stragrande maggioranza dei colleghi che si sono vaccinati per tutelare la salute dei pazienti e la propria, anche al fine di garantire la continuità di servizio. Peraltro, al di là di una scelta individuale incompatibile con l’esercizio di una professione sanitaria, si tratta di persone che hanno spesso seminato disinformazione pubblica sui vaccini, elevandosi a “paladini” del popolo no-vax, a volte con evidenti obiettivi di affermazione politica individuale».

 

Altro? Hanno approvato una norma che sarebbe passata, identica, con il governo Draghi. Dice Giorgia Meloni che le misure sono altamente “simboliche”, confermando in toto la sensazione di uno sventolio propagandistico che non ha nulla a che vedere con i “reali bisogni urgenti” del Paese. Su bollette, crisi energetica, guerra e povertà niente. Matteo Salvini, che per tutta la campagna elettorale ha promesso di risolvere i “problemi reali” al primo Consiglio dei ministri, ieri ha parlato agli italiani del ponte sullo Stretto dei suoi sogni. In compenso l’infornata di sottosegretari e viceministri fotografa perfettamente la spessore del governo. Basta leggere i nomi.

 

Dategli tempo, si dice. Intanto segnaliamo che la partenza è da governicchio di paesello.

POLITICA ESTERA  

 

31/10/2022

da Contropiano

 

Lula ha vinto le presidenziali in Brasile

 Luiz Ignacio Lula da Silva è di nuovo presidente del Brasile, e questo è l’importante. Dodici anni dopo la conclusione del suo secondo mandato, l’ex sindacalista e leader della sinistra ha sconfitto il presidente uscente Jair Bolsonaro.

 

Secondo la commissione elettorale, Lula ha ottenuto il 50,9% delle preferenze, contro il 49,1 di Bolsonaro. Quasi due milioni di voti di differenza.

 

Non era affatto scontato, perché il fascista che ha perso aveva mobilitato la polizia per impedire, nei limiti del possibile, agli elettori di Lula di andare a votare nelle zone dove il leader del Pt era dato in forte vantaggio, in particolare nel Nordest.

 

Centinaia di blocchi stradali messi in atto dalla polizia autostradale, che hanno ritardato di ore o fisicamente impedito di esprimere il voto. Ma per il presidente della Commissione elettorale, probabilmente anche lui ormai !uscente”, “tutto è stato regolare“.

 

Hanno cercato di seppellirmi vivo, ma sono risorto. Sono qui per governare il paese in un momento difficile, ma riusciremo a trovare risposte – ha dichiarato a caldo Lula – il nostro impegno più urgente è porre fine alla fame“.

 

Poi segna ancora la sua abissale  differenza con Bolsonaro. Il Brasile è un paese “pronto a riprendere il suo posto nel combattere la crisi climatica, specie in Amazonia. Il pianeta ha bisogno di una Amazonia viva“.

 

Ritorneremo su questo risultato, che cambia in modo consistente la geografia politica dell’America Latina, riducendo al minimo il numero e l’importanza dei regimi filo-Usa. Ma per il momento c’è da festeggiare.

EDITORIALI E COMMENTI

 

29/10/2022

da il Manifesto

Alfonso Gianni

 

Vola l’inflazione, crollano i redditi fissi e i salari

 

EFFETTO GUERRA.Le stime preliminari relative all’incremento dei prezzi nel mese di ottobre, rese note dall’Istat ieri, certificano un balzo dell’inflazione su base annua all’11,9% rispetto all’ 8,9% di settembre.

 

Sembra di essere tornati a quarant’anni fa,ai tempi della “Milano da bere”. Solo in quel caso, nel giugno del 1983, abbiamo registrato un aumento (+13%) su base annua superiore all’attuale. Ma ciò che è peggio è che il peso maggiore si scarica sul carrello della spesa, sui consumi popolari ineliminabili. Complessivamente su base annua accelerano i prezzi dei beni (da +12,5% a + 17,9%), mentre rallentano anche se di poco quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (su base annua dal +3,9% al + 3,7%). Quindi il differenziale inflazionistico negativo fra questi ultimi e i prezzi dei beni si è sensibilmente allargato (dal -8,6 di settembre a -14,2 punti percentuali). Senza abbondare nelle cifre è chiaro che l’inflazione pesa assai di più sui redditi bassi. Per una famiglia composta da due coniugi con due figli la sberla può arrivare a 4.059 euro nell’anno, di cui almeno un quarto è dovuto alle spese alimentari, ove spicca il salto micidiale del prezzo delle verdure.

 

Questi aumenti riducono il margine del risparmio, come emerge da una recente indagine Acri-Ipsos, da cui risulta che anche una spesa imprevista di 10mila euro – curiosamente il nuovo limite proposto per il contante – può creare seri problemi a una famiglia. Se ce ne fosse bisogno, l’Istat ci ricorda che le retribuzioni non tengono il passo dell’aumento inflazionistico. Nei primi nove mesi dell’anno il divario tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali è pari a 6,6 punti percentuali, quindi il leggero aumento della retribuzione oraria, pari all’1%, resta comunque al di sotto del livello dell’inflazione. Perciò continua la corsa verso il basso dei salari italiani.

 

Per invertirla o quantomeno per fermarla servirebbe una vigorosa ripresa del conflitto sociale a tutti i livelli per innalzare i redditi delle classi lavoratrici e aggredire la crescente povertà, nonché una vera riforma fiscale in senso progressivo. Bisogna capovolgere quella trasmissione di ricchezza verso la finanza, cui l’incremento dell’inflazione è funzionale, come ci spiegava Augusto Graziani negli anni Settanta. Il che comporta non solo la difesa e l’ampliamento del reddito di cittadinanza, l’introduzione per legge di un salario minimo orario, la lotta per aumenti contrattuali, l’incremento delle pensioni a partire dalle più basse, ma tutto un insieme di politiche economiche a livello nazionale ed europeo. Ovvero quella che potrebbe essere l’agenda di un’opposizione al governo delle destre. Il rilancio della politica dei redditi, come ha chiesto il segretario della Cisl, appare una stanca ripetizione di passati fallimenti.

 

Le cause esogene e dipendenti dalla guerra dell’attuale inflazione spostano l’asse dello scontro a livello internazionale. Lo aveva compreso tanti anni fa Salvatore Biasco, quando, in suo notevole libro del 1979, agli albori di una robusta fase della globalizzazione, dedicato all’incremento dei prezzi nei paesi capitalistici industrializzati e interdipendenti, scriveva che l’inflazione «è diventata in questo modo la forza condizionante dei processi dell’economia mondiale». Lagarde, alzando per la seconda volta consecutiva i tassi di 75 punti – cosa mai avvenuta nell’Eurozona – ha chiuso la fase espansiva della politica monetaria. Ma non è certo la quantità di liquidità in circolazione la causa dell’inflazione. La Bce è alla ricerca del tasso «naturale», ovvero quello che di per sé non dovrebbe influire né in modo espansivo né in quello restrittivo sull’economia reale. Ma procede in modo random, riunione per riunione, dicendo apertamente che le indicazioni prospettiche (la forward guidance) non sarebbero utili. Gli operatori finanziari lo chiamano «effetto Delfi», quello dell’oracolo della Grecia antica che può essere interpretato a piacere, così come appunto le dichiarazioni della presidente della Bce.

 

Con la conseguenza che alla instabilità di fondo dell’economia finanziaria, descrittaci da Hyman Minsky, viene a sommarsi il movimento ondulatorio, umorale e sempre rapace dei grandi operatori finanziari. La Bce in versione Pizia di Delfi cessa quindi di funzionare come guida dei mercati, seppure indipendente dal potere politico. Nel momento in cui vuole ribadire il governo dell’economia attraverso la politica monetaria, finisce in realtà per accompagnare le scelte del mercato. In questo quadro l’inflazione può tenere per mano la stagnazione e guidarci attraverso la stagflazione a una recessione di non breve durata. E così si consuma la parabola del draghismo di cui la «Melonomics» a livello macro vorrebbe essere la prosecuzione.

RICERCA ED ISTRUZIONE

 

28/10/2022

da Contropiano

 

L’insediamento del governo Meloni è coinciso con le prime mobilitazioni autunnali di quella nuova generazione che non si piega alle logiche dello sfruttamento e del “tutti contro tutti” che il capitalismo vorrebbe inculcare tra i banchi delle scuole e delle università.

 

Queste prese di coscienza collettiva tuttavia cominciano a mettere all’opera le forze della repressione, con i manganelli che ieri si sono alzati sui ragazzi e sulle ragazze fin dentro gli istituti di quelli che dovrebbero essere i più alti luoghi di formazione culturale e scientifica di un paese, le università.

 

I “reazionari in giacca e cravatta”, che in questa tornata elettorale hanno occupato più scranni del solito in Parlamento, plaudono e chiamano ai valori della democrazia contro l’opposizione sociale e politica che monta tra le fila dello stivale, in questo coadiuvati a più riprese dal Pd e dal resto della finta-sinistra liberal.

 

Ma la democrazia a cui tutti fanno riferimento è un inganno per i lavoratori e per i popoli di mezzo mondo, quando sposa supinamente le cause guerrafondaie della Nato e spinge l’asse euroatlantico allo sfruttamento imperialista di territori ed esseri umani di tutti i colori, di tutte le età, di tutte le religioni, di tutti i generi.

 

I cortei della Sapienza di ieri con Cambiare Rotta e l’occupazione di stamane del liceo Albertelli con Osa indicano che c’è ancora un pezzo di paese che non si arrende al disastro sociale, ambientale e culturale a cui questo sistema vorrebbe relegare l’umanità e in special modo le classi e i paesi meno abbienti.

 

La partecipazione studentesca alla direzione dello sviluppo di scuole e università, così come quella dei lavoratori dei luoghi di lavoro o delle classi popolari della vita nei territori, è il solo metro di giudizio che possa restituire il grado di partecipazione democratica alla vita di un paese. E a questo mirano continuamente i ragazzi e le ragazze in lotta nelle loro rivendicazioni.

 

L’organizzazione di percorsi radicali e di alternativa al sistema politico, ideologico ed economico dominante è la migliore notizia che questo paese possa ricevere, seppur questa difficilmente verrà trasmessa dai grandi media, complici della corruzione politica che dilaga nel mondo occidentale. Ieri è toccato all’università, oggi la scuola, domani ai lavoratori?

 

La battaglia delle idee per un cambio di sistema complessivo passa attraverso momenti di duro scontro con il nemico di classe, che dispone di polizia e strumenti giuridici repressivi da mettere in campo.

 

Ma la repressione non può fermare l’organizzazione e l’avanzata del percorso del cambiamento. Esprimiamo dunque solidarietà e vicinanza agli studenti in lotta, il mondo nuovo non può che nascere dalla spinta delle nuove generazioni che non si arrendono. Il prossimo sciopero generale del 2 dicembre è una tappa di questo percorso.

 

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

27/10/2022

da Left

Giulio Cavalli

 

Le prime mosse del governo Meloni hanno avuto una chiara impostazione: forti con i deboli, deboli con i forti

 

Qualcuno che gira con diecimila euro in contanti nel borsello non è un povero. Partiamo da qui, almeno per evitare di apparire scollegati dalla realtà di un Paese in cui la retribuzione globale annua (Rga) media si aggira intorno ai 30.000 euro, mentre la retribuzione annua lorda (Ral) media è pari a circa 29.500 euro (circa 1.700 euro netti al mese). Diecimila euro non li vedranno mai tutti insieme i 5,6 milioni di poveri nel nostra Paese (di cui 1,4 milioni sono bambini) che aspirano ad avere il problema di scegliere con quale modalità pagare visto che pagare rimane il loro insormontabile problema.

 

Qualcuno dice che la prima mossa del governo Meloni abbia a che fare con la “libertà”. Anche questa teoria è fragile. Basterebbe misurare le due urgenze: è più urgente dare “la libertà” di scegliere se pagare in contanti, in elettronico, con sesterzi o con il baratto o è più urgente trovare una soluzione perché tutti paghino ciò che si deve? Il governo ha scelto. L’ha scelto, si badi bene, come primo atto di un governo che arriva mentre le bollette stanno scarnificando le imprese e le famiglie, lo ha scelto mentre i salari da fame stanno sbriciolando i progetti e le speranze, lo ha scelto mentre la crisi climatica aumenta i pericoli e i costi per i cittadini, lo ha scelto mentre una guerra continua a bruciare alle porte dell’Europa. Questione di priorità, semplicemente.

 

Il governo Meloni, per mano del suo ministro all’Interno Piantedosi e del suo ministro alla Salvinità Matteo Salvini, ha messo nel mirino come primi nemici le navi delle Ong nel Mediterraneo. L’ha fatto nel momento in cui i morti si moltiplicano (tra bambini bruciati e bambini annegati) e lo fa insistendo con una violazione delle convenzioni internazionali, soprattutto quelle che riguardano la sicurezza in mare, la Convenzione di Amburgo e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e i richiedenti asilo. «Non si capisce quale sia la fonte giuridica che utilizza per ventilare un illegale e illegittimo blocco di navi che hanno soccorso naufraghi e che chiedono un Place of safety, come prevede la Convezione di Amburgo, che è molto chiara e non parla di bandiere, ma semplicemente di obbligo del soccorso», ha spiegato ieri all’Adnkronos Luca Casarini, capomissione di Mediterranea saving humans. Era una priorità? Evidentemente sì.

 

La prima proposta di legge depositata dalla maggioranza è quella di Maurizio Gasparri per scassare la 194. La ministra nominata alla Famiglia (e Natalità) è un’antiabortista fuori dal tempo e fuori dalla realtà che nelle sue prime interviste ha ribadito la propria idea provando a rassicurare (male) che i diritti delle donne non verranno toccati specificando però che l’aborto non lo ritiene un diritto. Era una priorità del Paese? Evidentemente sì.

 

In compenso ieri è stato bollato come “ideologico” l’intervento in Senato di Roberto Scarpinato, storico magistrato antimafia e ora capogruppo del Movimento 5 stelle, che ha semplicemente ricordato che questo governo si regge sui voti di un leader di partito (Silvio Berlusconi) che ha pagato per anni Cosa Nostra e che ha avuto come braccio destro un ex senatore (Marcello Dell’Utri) condannato in via definitiva per essere stato “l’anello di congiunzione tra Berlusconi e la mafia”. Ideologico, hanno detto.

 

Non c’è molto da capire. Qui non siamo più nel campo dei propositi. Stiamo ai fatti. Questo è.

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

23/10/2022

di Il Faro Di Roma - Adolfo Perez D'Esquivel

 

Premi Nobel e giornalisti per la libertà di Julian Assange

 

E’ stata presentata nella sede della Federazione nazionale della Stampa italiana, la conferenza stampa per la campagna internazionale “La mia voce per Assange” promossa da un comitato – formato da Paolo Benvenuti, Daniele Costantini, Flavia Donati, Giuseppe Gaudino, Laura Morante, Armando Spataro, Grazia Tuzi, Vincenzo Vita – che ha accolto l’appello lanciato dal Premio Nobel per la pace, Adolfo Pérez Esquivel, per reclamare la liberazione di Julian Assange, “un giornalista assurdamente detenuto per aver avuto il coraggio di denunciare crimini di guerra e gravissime violazioni dei Diritti Umani rappresenta un imperativo categorico per difendere un essenziale principio di libertà e per ridare ruolo e valore ad un’informazione davvero libera e indipendente”, spiegano i promotori.

 

“Nell’età della rete e degli algoritmi – aggiungono – si sente l’urgenza di ripristinare il metodo dell’inchiesta e della ricerca delle fonti, come criterio valido sempre e non a seconda dei governi o delle maggioranze politiche. Ciò che sta avvenendo è un segnale molto allarmante del deterioramento di un principio fondamentale del sistema democratico”.

 

Premi Nobel, personalità del mondo della cultura, dell’informazione e dello spettacolo hanno aderito a questa campagna registrando un breve video per affermare che la trasparenza è condizione irrinunciabile della democrazia. Durante la conferenza stampa ne verranno presentati alcuni tra i più significativi.

 

La campagna è sostenuta da Fnsi, Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), Articolo 21, Aamod (Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico) e sarà seguita da Avvenire, il Manifesto e il Fatto Quotidiano.

 

La conferenza, presieduta da Grazia Tuzi (coordinatrice del Comitato) e da Vincenzo Vita (di Articolo21), sarà introdotta dalla giornalista e scrittrice Stefania Maurizi.

 

Sono intervenuti Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi; Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti; Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, dei giornalisti Riccardo Iacona, Alberto Negri e – collegato online – Gianni Barbacetto. Ed è stato proiettato un contributo video del presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti.

 

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Qui di seguito l’appello lanciato dal Premio Nobel Adolfo Perez Esquivel

 

Le sofferenze che Julian Assange sta soffrendo per la sua ingiusta detenzione sono provocate dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna che vogliono silenziare e punire un giornalista che ha avuto il coraggio e l’etica professionale di pubblicare informazioni sui crimini commessi dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan.
Il trattamento inumano, fisico e psicologico, che sta soffrendo in prigione e gli anni di persecuzione gli hanno provocato un deterioramento fisico e psicologico. L’annuncio della sua estradizione negli Stati Uniti, dove rischia una condanna a 175 anni di carcere, equivale ad una condanna a morte.
Le conseguenze di questa politica repressiva, che viola il diritto alla libertà di stampa, puntano a controllare i mezzi di comunicazione. Si vuole far tacere col terrore i giornalisti che provano a dare informazioni sulle violazioni dei diritti umani commessi dagli Stati Uniti e da altre potenze che fanno parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Di tutto ciò non si parla, si copre l’impunità dei crimini commessi contro i popoli, minacciando chi li denuncia.
È deplorevole che la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, presieduta da Michel Bachelet non abbia la forza e gli strumenti giuridici per difendere la libertà di stampa, impedire l’estradizione di Assange e chiedere la sua liberazione.
Le Nazioni Unite devono essere trasformate e democratizzate. Attualmente questo Organismo non ha la possibilità di agire e di difendere la Pace e la vita dei popoli e delle persone. È un faro spento che ha bisogno della forza e della volontà dei popoli per essere nuovamente acceso e tornare ad illuminare l’umanità.
Mi appello ancora con forza alle associazioni di giornalisti, al mondo della cultura, ai giuristi, alle organizzazioni per i diritti umani, non rimanete indifferenti, alzate la vostra voce e chiedete la liberazione di Julian Assange.

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

22/10/2022

da la Notizia

 

Conflitti d’interessi e nepotismo, ecco il governicchio Meloni. Il lobbista Crosetto alla Difesa, Sud senza portafoglio e Santanchè dal Twiga al Turismo

Meloni vara il governicchio tra conflitti d’interessi e nepotismo. Il lobbista Crosetto alla Difesa e Sud senza portafoglio

 

Non voleva fare il Governo dei migliori ma “mettere i migliori al Governo”. Tra il dire e il fare, però, c’è stato di mezzo il mare. O meglio, Salvini e Berlusconi. Come dimostra la modesta squadra di Giorgia imbottita di vecchie facce della politica e qualche tecnico sconosciuto.

 

Salvini non incanta più ed è ridimensionato

 

Il Viminale gli è sfuggito. Pesa troppo il processo in corso con l’accusa di avere lasciato una nave di disperati alla deriva (proprio da ministro) e insospettisce la sua voglia di voler usare l’immigrazione per bastonare i suoi alleati e i suoi competitor interni al partito. Matteo Salvini si accomoderà al ministero dei Trasporti, dopo avere perso perfino il ministero all’Agricoltura e dopo avere insistito per quello alle Infrastrutture con il sogno di essere ricordato come “quello del ponte di Messina”. Ma del ministero ai Trasporti Matteo Salvini abuserà, come suo solito, per fare propaganda sulla pelle dei migranti provenienti dal Mediterraneo. Non sono troppo lontani i tempi in cui nel primo governo Conte faceva a gara con Danilo Toninelli per intestarsi le chiusure dei porti e ora vorrebbe giocarsi la stessa partita a ruoli invertiti. Al Viminale tra l’altro ritroverebbe il suo ex capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, uomo che arriva dalla pubblica amministrazione e che non sarà facile oscurare con la propaganda. Pronti alla retorica del Capitano, insomma.

 

Moderato ma non troppo, la rivincita di Giorgetti

 

Un giorno gli analisti politici troveranno il segreto per cui Giancarlo Giorgetti sia stato per così tanto tempo considerato “quello bravo” nella Lega. È vero che spicca per moderazione ma in un partito in cui Salvini balla in spiaggia l’inno nazionale e il presidente della Camera Lorenzo Fontana ammicca ai nazisti di Alba Dorata non è un compito troppo difficile. Di sicuro Giancarlo Giorgetti è stato a lungo l’uomo di cui si fidava all’interno della Lega Matteo Salvini. È l’unico leghista di cui si fida Silvio Berlusconi ed è stato apprezzato dall’eco presidente della Repubblica Napolitano che lo infilò nel “Gruppo dei saggi” nel 2013. Bossi lo definiva “un pretino”. Diceva: “Se gli danno delle tangenti lui le riporta indietro”. E in effetti questo successe. Nel 2004, in mezzo ai soliti scandali delle banche, Giampiero Fiorani si presentò con 50 mila euro. Lui non mosse dito. Ma alla sera lo richiamò: “venga a riprendersi i soldi”. Molto vicino a Draghi, sarà ministro all’Economia. Sempre a proposito del cambiamento omeopatico che ha promesso questa destra.

 

C’è un lobbista alla Difesa, Crosetto l’ha spuntata

 

Un fuoriclasse tra quelli che hanno lasciato la politica e invece la politica continuano a farla. Guido Crosetto, 58 anni, da Cuneo, continua a essere il “federatore” e “il volto pulito” di Fratelli d’Italia che ha contribuito a fondare (insieme a Meloni e La Russa) e di cui è stato il primo presidente. Arriva dalla Dc, entra in Parlamento con Forza Italia nel 2001 ed è sottosegretario alla Difesa nel Berlusconi IV dal 2008 al 2011. Rieletto nel 2018 un anno dopo decide di dimettersi per dedicarsi “in toto all’attività di imprenditorie”. Da ritirato dalla politica però continua a comparire in tutte le televisione per recitare la parte moderata della destra, la faccia pulita che nasconde il nuovo nero che avanza. Di professione è lobbista per l’industria delle armi, da presidente dell’Aiad, la Federazione, membro di Confindustria, in rappresentanza delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza. In piena pandemia suo figlio Alessandro ha fondato una società che lavora con industrie rappresentate dal padre nel suo ruolo di presidente di Aiad. Perfetto alla Difesa, alla faccia del conflitto di interessi.

 

Piantedosi al Viminale, il Capitano felice a metà

 

Matteo Piantedosi è un tecnico, ritenuto in quota Lega, che sin dalle prime indiscrezioni sulla futura squadra di Governo è apparso in pole position per il ruolo di ministro dell’Interno. Un nome gradito a Giorgia Meloni che gli riconosce grandi capacità ed esperienza ma che piace ancora di più a Matteo Salvini che, costretto a rinunciare alle sue mire sul Viminale, vede in Piantedosi un uomo di sicuro affidamento. Del resto i due hanno già collaborato proficuamente quando il Capitano, durante il governo gialloverde, ha ricoperto il ruolo di ministro dell’Interno e Piantedosi quello di suo vice capo di gabinetto. Periodo quello in cui quest’ultimo ha appoggiato – almeno pubblicamente – le posizioni del leader leghista in fatto di migranti, arrivando perfino a difenderlo durante il processo a carico del Capitano in cui si ipotizzava il sequestro di persona a carico di 107 migranti a bordo della Open Arms.

 

Alla Giustizia Nordio, l’ex pm sgradito ai colleghi

 

Carlo Nordio, eletto in quota Fratelli d’Italia, è un ex magistrato che la premier in pectore ha individuato come il profilo migliore per ricoprire il ruolo di guardasigilli. L’ex togato, oggi in pensione, ha da sempre intrattenuto un rapporto conflittuale con la magistratura tanto da aver più volte detto che sia nell’Associazione nazionale magistrati che nel Consiglio superiore della magistratura, a comandare sono le correnti e quindi in entrambi “a farla da padrone è la politica”. Inoltre Nordio ha spesso sostenuto posizioni molto garantiste che gli sono valse il plauso del Centrodestra ma non quello dei suoi ex colleghi che, stando a quanto trapela, nelle chat private sono già in preallarme. Proprio quest’ultimi non gli perdonano neanche il recente incontro con Silvio Berlusconi a Villa Grande in cui i due avrebbero concordato un piano di riforma della Giustizia e che viene giudicato dalle toghe italiane come “uno sgarbo istituzionale”.

 

Tajani alla Farnesina, malgrado Silvio

 

Come da pronostici Antonio Tajani, fedelissimo di Silvio Berlusconi, è finito alla Farnesina. Durante la sua carriera politica si è spesso distinto come la parte maggiormente moderata e governista di Forza Italia. Eppure, malgrado ciò, la sua candidatura recentemente era finita nell’occhio del ciclone a causa delle dichiarazioni filoputiniane del suo leader di partito. Proprio alla luce delle frasi shock di Berlusconi, arrivato addirittura ad incolpare Volodymyr Zelensky per la guerra in Ucraina come si sente in alcuni audio registrati a sua insaputa, in molti si sono lamentati giudicando politicamente insostenibile il conferimento dell’incarico di ministro degli Esteri a un esponente di Forza Italia. Ma Meloni ha tirato dritto e complici i numerosi attestati di stima arrivati da Bruxelles, il numero due di Forza Italia è stato confermato alla guida della Farnesina.

Bernini all’Università e i docenti già la bocciano

 

Alla fine Anna Maria Bernini non è andata al ministero dell’Istruzione, toccato al leghista Giuseppe Valditara, ma questo non significa che non si occuperà del sistema della formazione. Già perché per la fedelissima di Silvio Berlusconi, su cui il Cavaliere non ha voluto sentir ragioni ritenendola indispensabile per l’Esecutivo, all’ultimo secondo si sono spalancate le porte per il ministero dell’Università dove, a quanto pare, dovrà trovare il modo di fare breccia nel mondo accademico che non sembra ritenerla adatta allo scopo. Come rivelato a La Notizia dal professore Domenico De Masi, infatti, “Istruzione, Università e Cultura” per il Centrodestra sono “dicasteri di scarsa importanza tanto che come possibili ministri sono stati fatti nomi, come quello della Bernini per l’Università o l’Istruzione, che sono del tutto inadeguati”.

 

Da cognato a ministro, Lollobrigida in squadra

 

Francesco Lollobrigida è un fedelissimo – nonché cognato – di Giorgia Meloni e ha accompagnato la leader lungo tutta la trionfale cavalcata che l’ha portata a Palazzo Chigi. Un legame professionale strettissimo che gli è valso la nomina a ministro dell’Agricoltura a cui ambiva Salvini. Un nome, quello di Lollobrigida, che recentemente ha fatto discutere per alcune dichiarazioni – ritenute incaute – circa la volontà del futuro Governo di mettere mano alla Costituzione. In particolare non ha escluso di “rivisitare” la norma che limita la sovranità del diritto comunitario su quello nazionale che, come hanno spiegato molti esperti, se approvata finirebbe per entrare in conflitto con l’Unione europea.

 

Dopo dossier e smentite, Urso approda al Mise

 

Da presidente del Copasir a ministro dello Sviluppo economico. Sul fatto che il meloniano Alfonso Urso avesse fatto parte della squadra di Governo non c’erano mai stati dubbi. Eppure il suo nome era finito recentemente al centro di alcune polemiche dopo la pubblicazione di un report da parte del Corriere della Sera in cui venivano elencati i nomi di personaggi ritenuti vicini a Vladimir Putin e che, sempre secondo il quotidiano di via Solferino, costituiva una sorta di lista di proscrizione compilata dai servizi. Una tesi che Urso ha smentito con forza spiegando anche che “non c’è nessuna attività d’intelligence sulle persone” e che quello pubblicato “è un semplice report fatto da un tavolo interministeriale creato nel 2019”.

 

Schilacci beffa Ronzulli, la Sanita' a un tecnico

 

Si è conclusa con una sorpresa la battaglia per il ministero della Salute. Tra i tanti nomi circolati, infatti, alla fine l’ha spuntata il rettore dell’Università di Tor Vergata, Orazio Schillaci, che al foto finish è stato preferito a Francesco Rocca della Croce Rossa e Guido Bertolaso. Un dicastero su cui per settimane si è consumato un duro scontro tra Silvio Berlusconi che chiedeva di affidarlo a Licia Ronzulli e la Meloni che non ne voleva sapere. Alla fine la scelta è ricaduta su Schillaci, 56 enne romano, che oltre a essere docente ordinario di medicina nucleare, nel 2020 è stato inserito dall’ormai ex ministro Roberto Speranza nel Comitato scientifico dell’Istituto superiore di sanità.

 

Ambiente ed energia, arriva Picchetto Fratin

 

Berlusconiano doc, commercialista, ma anche un passato da professore di ragioneria. Gilberto Pichetto Fratin, classe 1954, laureato in Economia e Commercio all’Università degli studi di Torino, ex senatore, vice di Giorgetti allo Sviluppo economico del governo Draghi. È un uomo dei conti, e ha sempre svolto attività professionale come consulente d’impresa nel ramo societario, fiscale, per imprese e professionisti. Ma il suo percorso politico inizia presto nel suo Piemonte: consigliere comunale a Gifflenga, in provincia di Biella, nel 1975. Poi vicesindaco di Biella, consigliere regionale del Piemonte, sempre con FI, assessore all’Industria e al Commercio. Entra in Parlamento nel 2008 come senatore del Popolo della Libertà. Prima e dopo essere stato eletto al Senato riveste cariche pubbliche nelle amministrazioni comunali e regionali. Nel 2018 torna in Senato con Forza Italia. Ora per lui il dicastero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.

 

Calderone al lavoro, fioccano i conflitti

 

L’arrivo al dicastero del Lavoro di Marina Elvira Calderone, presidente del Consiglio dell’Ordine dei consulenti del Lavoro, ha sollevato più di un dubbio sui suoi conflitti d’interesse. Il primo ha già sortito i suoi effetti. Rosario De Luca, suo marito e collega ai vertici dell’Ordine, era anche nel consiglio di amministrazione dell’Inps, istituto vigilato proprio dal ministero del Lavoro. Un conflitto tanto evidente che si è risolto ieri con le dimissioni di De Luca dal Cda guidato da Pasquale Tridico. Ma per Calderone le contraddizioni non finiscono qui. Da ministro del Lavoro sarà chiamata a occuparsi del Reddito di cittadinanza. Da capo del Consiglio dell’Ordine professionale ha proposto di coinvolgere tra le agenzie chiamate a trovare un lavoro ai beneficiari del sussidio anche gli stessi consulenti del lavoro. Quindi rischia – qualora dovesse dare seguito a questa proposta – di favorire gli iscritti all’ente che oggi presiede. Staremo a vedere.

 

Santanchè al Turismo, potrà tutelare il suo twiga

 

Che “la pitonessa”, ovvero Daniela Santanchè, possa arrivare a guidare il dicastero del Turismo solleva subito polemiche sul conflitto di interessi che ha nel demanio marittimo. Santanché, infatti, gestisce assieme a Flavio Briatore, il Twiga, lo stabilimento balneare a Marina di Pietrasanta, che paga un canone irrisorio di 17 mila euro l’anno e da cui secondo l’ultimo dato consultabile, che risale al 2019, frutta circa 4 milioni di euro. Vale a dire un valore 227 volte maggiore rispetto all’investimento sostenuto. Che Santanché non abbia i conti in regola lo dimostra un altro fatto. Dopo che già gli esperti di Bdo, a giugno, si erano detti “impossibilitati a esprimere un giudizio” sul bilancio del 2021 della sua società, Visibilia Editore, la storia si ripete con Rsm. Che non firma i conti semestrali, chiusi con 0,6 milioni di perdita e un indebitamento finanziario netto di 3,9 milioni.

 

Un caso di porte girevoli, Sangiuliano alla Cultura

 

Giornalista e scrittore, Gennaro Sangiuliano, al timone del Tg2 dal novembre del 2018, è il nuovo ministro della Cultura. Un classico caso di porte girevoli. Nominato alla direzione del Tg2 in quota centrodestra adesso viene promosso con un dicastero di peso e di tutto rispetto. Napoletano doc, classe 1962, Sangiuliano nonostante la formazione giuridica, coltiva una vera e propria passione per la storia contemporanea, pubblicando una serie di saggi accanto all’attività giornalistica. Attività quest’ultima che prende corpo nei primi anni Novanta quando inizia a lavorare a L’Indipendente. Dal 1996 al 2001 è direttore del quotidiano Roma e poi vicedirettore di Libero. Entrato in Rai nel 2003 come inviato della testata Regionale e capo servizio, nel 2004 viene trasferito a Roma all’Agenzia nazionale della Tgr dove diventa prima vicecaporedattore (2005) e in seguito caporedattore (2007). Nel 2009 passa al Tg1 dove diviene vicedirettore.

 

Un giurista all’Istruzione, arriva il leghista Valditara

 

Giuseppe Valditara è il nuovo ministro dell’Istruzione. Ordinario di Diritto Romano presso l’università di Torino è stato candidato dalla Lega nelle ultime elezioni, non risultando eletto. Tra i consiglieri più vicini di Matteo Salvini, ha una storia politica tutta nel centrodestra, partendo proprio dal mondo della Lega. Poi l’avvicinamento a Pinuccio Tatarella e al mondo di Alleanza Nazionale e il debutto in politica, con l’elezione a Roma. Diventa senatore e resta a Palazzo Madama dal 2001 al 2013, per tre legislature. A Viale Trastevere Valditara è già stato nel 2018, come capo dipartimento per la Formazione superiore e la ricerca al Miur nel dicastero guidato dal leghista Marco Bussetti, durante il Conte I.

 

I ministri senza portafoglio

 

Questi sopra elencati sono i ministri con portafoglio, ai quali se ne aggiungono nove senza portafoglio. Si tratta di Luca Ciriani (Rapporti con il Parlamento); Paolo Zangrillo (Pubblica amministrazione); Roberto Calderoli (Affari regionali ed autonomie); Nello Musumeci (Politiche del Mare e Sud) e Raffaele Fitto (Affari Ue, politiche di coesione e per il Pnrr); Andrea Abodi ( Sport e giovani); Eugenia Maria Roccella ( Famiglia, natalità e pari opportunità); Alessandra Locatelli (Disabilità) e Maria Elisabetta Alberti Casellati (Riforme istituzionali). Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sarà Alfredo Mantovano.

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