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LAVORO E DIRITTI  |   MORTI SUL LAVORO

 

05/10/2022

DA Left

Giulio Cavalli

 

Un rider ha perso la vita a Firenze mentre faceva le consegne in bici. Glovo, la piattaforma per cui lavorava, lo ha licenziato con un’email automatica. In Italia ci sono state sentenze che dicono che questi lavoratori andrebbero inquadrati diversamente ma non vengono rispettate

 

Ci sono molti dolori nella storia di Sebastian Galassi, il rider morto schiantato contro un suv lo scorso 2 ottobre, in via De Nicola a Firenze, mentre correva per rispettare i tempi dell’algoritmo. C’è la vita di un 26enne che studiava grafica per il web e poi la sera inforcava la bicicletta per racimolare un po’ di soldi, schiavo qualche ora al giorno per provare a mantenersi. C’è una lista di morti schiacciati che comprende William De Rose a Livorno lo scorso 25 marzo, Romulo Sta Ana morto il 29 gennaio a Montecatini e Roman Emiliano Zapata, deceduto il 19 settembre sul Terragno, nel trevigiano.

 

C’è un settore che continua a tollerare le condizioni precarie (illegali, bisognerebbe avere il coraggio di scrivere “illegali”) di lavoratori che devono correre perché pagati a cottimo, l’ennesimo lavoro dove il rispetto della sicurezza è un costo solo che in questo caso il costo è addossato ai lavoratori. C’è la narrazione delle grandi piattaforme di consegne (Glovo, Deliveroo e Uber) che chiamano tutto questo “flessibilità” e “libertà”, secondo lo schema ma della solita cosmesi linguistica che racconta i diritti come vincoli. Era accaduto qualche anno fa con la “precarietà”, ci siamo cascati, ci ricaschiamo di nuovo.

 

Ci sono sentenze (a Firenze, a Bologna, a Milano, a Torino, a Palermo) che dicono che questi lavoratori andrebbero inquadrati diversamente ma non vengono rispettate, rimangono nel fascicolo della letteratura dei diritti. C’è Glovo che licenzia un morto: «Gentile Sebastian, siamo spiacenti di doverti informare che il tuo  – si legge nel testo, una comunicazione meccanica e standardizzata senza traccia di contatto umano -. Per mantenere una piattaforma sana ed equa, talvolta è necessario prendere dei provvedimenti quando uno degli utenti non si comporta in modo corretto». Nella mail risalta un particolare importante: i lavoratori sono chiamati “utenti”. Dietro quella parola si sente l’odore di un lavoro che diventa un favore.

 

Infine c’è la manifestazione convocata oggi a Firenze che otterrà molto meno spazio dei verbosi editoriali di vecchi intellettuali (vecchi perché fuori dal tempo) che scrivono dei giovani che non lavorano perché non hanno voglia di lavorare e non si chiedono mai – nemmeno un volta – se Sebastian avesse accettato un qualsiasi lavoro, in condizioni più umane, senza dover andare forsennatamente in bicicletta per la città per pochi spiccioli.

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

04/10/2022

da Contropiano

 

Manifestazioni e bollette bruciate in molte città

 

Nella giornata di ieri, rispondendo alla chiamata della Federazione Sindacale Mondiale WFTU, l’Unione Sindacale di Base ha organizzato manifestazioni e presidi in 14 città italiane per protestare contro il carovita e le speculazioni delle grandi compagnie dell’energia, che si stanno arricchendo a scapito della popolazione.

 

USB ha anche presentato alla Procura di Roma un esposto, curato dall’avvocato Vincenzo Perticaro, per denunciare queste speculazioni, che hanno già prodotto rincari del 60% dell’energia elettrica e domani porteranno a +80% le tariffe del gas.

 

Roma un centinaio di manifestanti hanno protestato con USB davanti alla Cassa Depositi e Prestiti, maggiore azionista di ENI, continuando la protesta contro il carovita e gli aumenti astronomici delle bollette. Durante il presidio sono state bruciate le bollette.

Milano dopo il presidio davanti all’ENI Store, è partito un corteo che si è diretto alla sede dell’Arera (l’Autority per l’energia) dove è stata bruciata una bolletta.

 

Pisa un folto gruppo di lavoratori si è radunato sotto gli uffici ENI di Viale Bonanni, continuando a bruciare le bollette per protesta. Anche qui gli uffici erano chiusi. per riunione aziendale. A Livorno si è svolto  un partecipato presidio di fronte all’ENI Store di Scali Olandesi 42, chiuso per un improvviso “corso di aggiornamento”, dove sono state bruciate in segno di protesta le bollette.

Torino, dove nei giorni scorsi si sono tenute le proteste dei Teleriscadati insieme ad ASIA USB per chiedere che gli extraprofitti delle multiutility vengano usati per saldare le morosità e calmierare le bollette, si sta tenendo un presidio di fronte all’Eni Store di via Regina Margherita.

 

Bologna decine di manifestanti si sono dati appuntamento di fronte alla sede dell’Hera, tra cui tanti cittadini colpiti dal caro bollette. È ora di dire basta con il carovita e la speculazione, non paghiamo le loro crisi e le loro guerre: anche a Bologna sono state bruciare delle bollette per protesta.

Napoli un nutrito presidio si è riunito in piazza Plebiscito, nei pressi della Cassa Depositi e Prestiti, maggiore azionista di Eni, e alla Prefettura: qui sono state bruciate simbolicamente alcune bollette per protestare contro i rincari, con il costo più che raddoppiato negli ultimi mesi. Respinta la richiesta di essere ricevuti dal Prefetto.

 

Cagliari l’USB ha tenuto un presidio, all’incrocio tra Via Roma e Viale Regina Margherita, di fronte alla sede Enel e a pochi passi dalla sede Inps. In Sardegna i colpi dell’inflazione si fanno sentire forti: gli organi preposti alla vigilanza, anche sulla concorrenza, devono agire per bloccare le speculazioni sull’energia.

A Taranto il presidio si è tenuto di fronte alla Prefettura.

Altre manifestazioni si sono tenute Trieste, Spoleto, Firenze, Schio

POLITICA ESTERA 

 

03/10/2022

da Valori

Giorgio Michalopoulos

Belo Horizonte

 

Elezioni in Brasile, un Paese lacerato aspetta il secondo turno tra Lula e Bolsonaro

 

Le elezioni in Brasile, caratterizzate da uno scontro violentissimo tra candidati e elettori, vedono Lula in vantaggio ma Bolsonaro vicino 

 

Il 2 ottobre 156 milioni di brasiliani sono stati chiamati alle urne per delle elezioni che segneranno la storia dello Stato sudamericano. Tra gli undici candidati alla presidenza, la partita si è giocata tra l’ex presidente progressista Luiz Inácio Lula da Silva (Partito dei lavoratori – PT) e l’ultraconservatore Jair Bolsonaro (Partito liberale – PL), presidente uscente. Uno scontro tra due visioni opposte, in un clima che infuoca e preoccupa il Paese per il grado di violenza raggiunto.

 

Al termine del primo turno, Lula è risultato in testa, sfiorando il 50% dei voti, che gli avrebbe garantito l’elezione diretta, senza passare per il ballottaggio, previsto per la fine di ottobre. All’ex presidente è andato il 48,43% delle preferenze, contro il 43,2% del candidato di estrema destra. Quest’ultimo ha realizzato uno score ben più alto rispetto a quello che era stato prospettato dai sondaggi. L’ultima stima, pubblicata alla vigilia del voto, ipotizzava uno scarto di ben 15 punti percentuali tra i due.

 

Una campagna elettorale segnata dalla violenza

 

Le preoccupazioni hanno trovato riscontro nello stato di Minas Gerais durante il primo grande incontro elettorale, che ha visto protagonista Dilma Rousseff, la prima donna a ricoprire la carica di presidente della Repubblica nel 2010. Rieletta nel 2014, la Rousseff ha concluso prematuramente il suo incarico a causa di un impeachment.

 

Il 9 luglio un padre di famiglia con quattro figli è stato ucciso a colpi di pistola da un sostenitore del presidente in carica. Nello stato di Mato Groso do Sul il 9 settembre un sostenitore di Lula è stato ucciso a coltellate da un ventiquattrenne bolsonarista. L’ultimo dibattito presidenziale del 29 settembre è stato irruento, segnato da pesanti accuse tra i candidati. «Ho molta voglia di stare per strada e celebrare la vittoria, ma credo sia pericoloso. Prima nessuno veniva ammazzato per un adesivo o una maglietta del proprio partito», non nasconde i suoi timori Thais Oliveira de Oliveira, dottoranda dell’università federale di Minas Gerais, alla vigilia delle elezioni.

 

Le dichiarazioni di Dilma Rousseff, ex-presidente del Brasile, al seggio elettorale

 

Nel collegio Santa Marcellina, seggio elettorale del quartiere São Luiz di Belo Horizonte, l’ex presidente si è presentata alle otto del mattino acclamata dai militanti del PT. Se fuori è stata circondata da una folla affettuosa di circa quaranta persone con magliette rosse, adesivi pro-Lula e bandiere del partito, nei corridoi del collegio, Dilma Rousseff non ha trovato la stessa accoglienza.

 

Tra i fischi dei sostenitori di Bolsonaro ha fatto eco un “fora vagabunda!” (di cui risparmiamo la traduzione). Terminato il voto, Dilma Roussef è tornata all’aria aperta spiegando al popolo del suo partito come il governo Lula combatterà le forti diseguaglianze di cui soffre il Paese, la devastazione ambientale e la de-industrializzazione. «Sono estremamente ottimista, sento una grande energia nelle strade, nelle persone. Ma dobbiamo pensare al giorno dopo. Il 3 ottobre dobbiamo riaffermare la sovranità di questo Paese», aveva dichiarato ai microfoni, sperando evidentemente in un’elezione di Lula al primo turno.

 

Lo specchio di una società estremamente polarizzata

 

Non della stessa opinione una signora con occhiali da sole scuri, maglietta gialla e verde con il volto di Bolsonaro. «Lula ladro il tuo posto è la prigione! Non voglio comunisti in Brasile», urla insistentemente, seguita da altri bolsonaristi con la maglietta della seleção brasileira, ormai simbolo del PL. I militanti del PT intanto cominciano a cantare: «Dilma guerriera del popolo brasiliano». 

 

In questo clima da stadio la Rousseff continua tranquillamente a parlare del futuro del Paese: «Il presidente Lula deve ricostruire il Brasile: abbiamo una polarizzazione interna fatta da gravi diseguaglianze. Un problema legato ai metodi di sfruttamento minerario adottati in tutto il Paese. Occorre una nuova regolamentazione. Dobbiamo garantire che non avvenga più questa brutale distruzione dell’ambiente. Dobbiamo investire nell’istruzione di qualità, perché solo questo toglie le persone dalla miseria. E dobbiamo re-industrializzare il Paese».

La polarizzazione etnica: di undici candidati alle elezioni in Brasile solo due sono di colore

Ma la polarizzazione della società brasiliana non è solo politica ed economica. «Parlare di disuguaglianze è anche parlare delle donne di colore, questo è un Paese a maggioranza nera. Le donne di colore devono essere rispettate, Lula porterà questa sensibilità nelle sue politiche», ha concluso così il suo discorso Dilma Rousseff. 

Nel Paese in cui la popolazione nera-meticcia cresce fino al 56% del totale nel 2022, queste parole fanno riflettere. Tra gli undici candidati alla presidenza solo due sono neri, entrambi non hanno potuto partecipare al dibattito perché l’ultima riforma della legislazione elettorale permette di invitare ai dibattiti solo i candidati di partiti con almeno cinque rappresentanti nel congresso nazionale.

«I nostri corpi sono i primi ad essere attaccati», spiega Etiene Martins, giornalista e consigliera della deputata Andréia de Jesus. «I bolsonaristi si sono appropriati di alcuni territori della città così come della maglietta del Brasile. In alcune zone io, donna nera, sono vista come una presenza sospetta». Nell’assemblea legislativa di Minas Gerais su 77 deputati, solo 9 sono donne, di cui 3 di colore. Ovvero il 3% della rappresentanza in uno Stato a maggioranza nera secondo i dati dell’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica

 

Il razzismo ancora attraversa la società brasiliana

 

In una piccola scuola di Pompeia, quartiere di classe media a Belo Horizonte, in fila nel seggio elettorale, Etiene denuncia le pesanti minacce di morte ricevute dalla De Jesus per aver denunciato violenze razziste. Oggi costretta a girare con la scorta, la deputata si batte per la difesa dei diritti umani e dei diritti delle donne nere, con particolare attenzione alle comunità minoritarie e alle popolazioni indigene. 

 

«Io sono nera, soffro il razzismo in continuazione. Nella mia famiglia non credono che un nero possa partecipare ai processi legislativi e cambiare le regole. Combattere queste ingiustizie è la mia missione di vita», racconta Andréia in un seggio elettorale del PT. Ad oggi ha sporto 29 denunce per minacce ricevute via telefono, mail o sui canali social. A un anno di distanza dalla prima denuncia, non ha ancora ricevuto risposte dalle autorità. «La passività della società – aggiunge – autorizza la violenza. Autorizza ad uccidere. Così come è accaduto a Marielle Franco, assessora nello stato di Rio de Janeiro, morta con cinque colpi in testa. Quando la società brasiliana non reagisce, autorizza ad uccidere anche Andréia e le Andréia che verranno». 

 

Riflettendo sulle parole di Dilma Roussef, la deputata spiega che l’istruzione brasiliana va ripensata completamente: «Dobbiamo costruire una identità brasiliana considerando i 300 anni di schiavitù che sono attuali. Le cicatrici delle fruste sono ancora presenti sulla mia schiena, sulla schiena di mia madre e di mio nonno. Se non parliamo di questo, specialmente nell’istruzione, continueremo a riprodurre una logica europea di colonizzazione perpetua». 

 

Il centro e la periferia: gli orientamenti di voto opposti, legati alle condizioni socio-economiche

 

Normalmente proibita nel Paese durante il giorno elettorale, per la prima volta la vendita di bevande alcooliche è ammessa nello Stato di Minas Gerais. «Siamo un popolo in condizioni di estrema vulnerabilità. Può essere pericoloso e può incentivare la violenza. Inoltre, esistono persone nelle periferie che vendono il loro voto per un sacco di cemento o una cassa di birra. E purtroppo c’è sempre chi è pronto a comprare questi voti», spiega Etiene dopo un’ora di fila al seggio elettorale (i ritardi generalizzati nel Paese sono stati attribuiti alla raccolta dei dati biometrici nei seggi elettorali). Nel quartiere Pompeia, zona est di Belo Horizonte, le magliette rosse o con la faccia di Lula stampata superano quelle della nazionale o gli abiti giallo-verdi. 

 

Diversa è la situazione a Savassi nel quartiere della zona centro-sud di Belo Horizonte, dove si concentrano i redditi più alti della città (vicino alla Praça da Liberdade). Grandi macchine nere ornate di bandierine del Brasile sono parcheggiate in doppia fila, i conducenti sono generalmente uomini bianchi con occhiali da sole, orologio e la solita maglietta della seleção brasileira. In netta maggioranza rispetto alle magliette rosse e di Lula, i sostenitori di Bolsonaro a Savassi costituiscono la roccaforte del Partito Liberale. La Polizia militare ai lati dei seggi elettorali non ha riportato tensioni durante la giornata.

 

I grandi assenti delle elezioni in Brasile: i giovani

 

Che sia centro o periferia, la concentrazione di adulti nei seggi elettorali mostra un grande assente, i giovani. «La mia sensazione è che questi siano più spinti dalle ambizioni personali che orientano le scelte politiche in un’ottica liberale. Io credo molto nella politica identitaria e di classe, tradurre questo per un giovane non è facile. Ma in un Paese dove il razzismo domina, c’è uno strato sociale di popolazione che è emarginato per via del colore della pelle. E questo deve essere discusso molto di più, soprattutto tra i giovani delle periferie», commenta Andréia de Jesus.

 

Alle ore 18:00 il centro città è in silenzio, le urla e i clacson che hanno conquistato la città negli ultimi giorni sono scomparse. Un silenzio di attesa abbraccia la città. Nella redazione del giornale Estado de Minas cinque schermi seguono la diretta degli scrutini, mentre i redattori aggiornano nervosamente le pagine dei risultati presidenziali. Alle ore 18:00 con il 4.5% delle sezioni scrutinate, Bolsonaro è dato al 48.5%, Lula al 42%. Alle 20:04 la situazione è tesa, Lula supera il presidente in carica, dietro gli schermi della redazione si sente esclamare: “Virou” (superato). Bastano 40 minuti per moderare il fermento: alle 20:40 con il 99% delle sezioni scrutinate, i dati parlano chiaro, la possibile vittoria di Lula è posticipata al secondo turno. 

 

In Brasile si andrà al secondo turno

 

«Il risultato delle urne mostra che il movimento guidato da Bolsonaro non si è indebolito con il primo mandato, ma al contrario si è rafforzato. Il 90% dei suoi ministri è stato eletto, questo mostra un apprezzamento rilevante di una parte di popolazione», commenta Carlos Marcelo Carvalho, direttore del giornale Estado de Minas. «Dall’altro lato, notiamo la resilienza di Lula che chiude in vantaggio. Mai nella storia del Paese è successo che, in un confronto tra un ex presidente e il presidente in carica, l’ex superasse quello in carica. Dobbiamo registrare questo come un fatto inedito nella storia del paese”. 

 

Altro fatto inedito sarebbe la vittoria di Bolsonaro al secondo turno, infatti nella storia delle presidenziali brasiliane, i candidati in vantaggio al primo turno hanno sempre vinto. Ai candidati ora l’arduo compito di attirare i voti di centristi e moderati. La missione, spiega Carvalho, è fondamentale per Lula, considerata la base elettorale che Bolsonaro ha conquistato alle urne (facendo eleggere un quinto del congresso nazionale). «Il Paese è fortemente polarizzato: nord, nord-est e Minas Gerais stanno con Lula, mentre nel sud c’è una predominanza di Stati dove Bolsonaro vince a mani basse».

La sconfitta dei candidati della “terza via”

 

Un ulteriore dato da evidenziare, sottolinea il direttore, è che nessun candidato della cosiddetta “terza via” è riuscito a vincere nel suo stato di appartenenza. “Questo dimostra che oggi il Brasile è un Paese con due forze politiche egemoniche. La terza via in questo momento non ha spazio né rilevanza», aggiunge.

 

Date le premesse, ci si può legittimamente chiedere a questo punto se Bolsonaro sarà disposto ad accettare un risultato avverso al secondo turno. «Ciò che mi preoccupa sono quelli che appoggiano Bolsonaro. Ho incontrato persone uguali a me che supportano Bolsonaro, una persona che difende il fascismo, il razzismo e la violenza, ma queste stesse persone sono vittime della violenza. Bolsonaro è politicamente morto, ma le sue idee continueranno a vivere nella società in cui viviamo», commenta la deputata de Jesus.

 

Una lunga giornata si chiude lasciando il Brasile in bilico. Il giorno dopo, 3 ottobre, ricomincia la campagna elettorale. The show must go on. Il Brasile si prepara al secondo turno. Appuntamento al 30 ottobre.  

ECONOMIA E FINANZA

 

30/02/2022

da  il  Manifesto

Massimo Franchi

 

Arera fissa la bolletta: elettricità +59% ma i costi sono già raddoppiati

 

SUCCESSI DI GOVERNO. L’Autorità per una «famiglia tipo» stima una spesa annua che passa dai 632 euro del 2021 a ben 1.322. Sul gas - a novembre ma retroattivo di un mese - sarà peggio. Nessuna tutela per i morosi

 

La prima mazzata sui consumatori italiani è arrivata. La prossima sarà probabilmente nel giorno dei morti ma avrà effetto retroattivo sul mese di ottobre.
Ieri pomeriggio, dopo aver preparato il terreno mercoledì, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ha fissato – come da legge e alla luce dei vari decreti Aiuti del governo Draghi – il prezzo dell’energia. «Dal primo ottobre 2022, il prezzo di riferimento per il cliente tipo sarà di 66,01 centesimi di euro per kilowattora». L’aumento è pari al 59% ed è quindi in linea con le stime di Nomisma energia (60%).

 

NIENTE TETTO (price cap) italiano, niente disaccoppiamento tra prezzo dell’energia legato al gas (molto più alto) e prezzo dell’energia da fonti rinnovabili (molto più basso), con il governo Draghi. È rimasto solo il taglio dei cosiddetti oneri generali di sistema che valevano circa per un quarto della bolletta. Un solo e secondario strumento rispetto alle risposte degli altri governi europei.

 

Nonostante questo Arera parla di «intervento straordinario» che «evita il raddoppio».

 

L’intervento viene stimato per 30 milioni di utenze domestiche e oltre 6 milioni di piccole imprese, artigiani e commerciati, spiega l’Autorità. «Bonus sociali» per il quarto trimestre valgono invece per le famiglie con un Isee fino a 12.000 euro (soglia che sale a 20.000 euro per le famiglie numerose). I bonus sono erogati direttamente in bolletta.
Il raddoppio dei costi però è certificato dalla stessa Arera quando raffronta i costi annuali per una «famiglia tipo», ossia con consumi medi di 2.700 kilowattora all’anno: «per la bolletta elettrica la spesa per la famiglia-tipo nel 2022 sarà di circa 1.322 euro, rispetto ai 632 euro circa del 2021».

 

ANDRÀ MOLTO PEGGIO con la bolletta del gas. E per questo la scelta di Arera (e governo Draghi) è di procrastinare l’annuncio per non assommare troppe brutte notizie, centellinandole per indorare la pillola. Con ogni probabilità sarà dunque il governo Meloni a dover informare gli italiani con effetto però retroattivo da ottobre. Insomma, come ieri con la Nota di aggiornamento al Def, il governo Draghi scarica un’altra patata bollente al nuovo esecutivo.

 

Dal punto di vista tecnico, lo spostamento di un mese viene così spiegato: «In base al nuovo metodo di calcolo introdotto a luglio da Arera, il prezzo del gas per i clienti ancora in tutela verrà aggiornato alla fine di ogni mese e pubblicato nei primi giorni del mese successivo a quello di riferimento, in base alla media dei prezzi effettivi del mercato all’ingrosso italiano. Il valore del prezzo gas, che sarà pagato dai clienti per i consumi di ottobre, verrà pubblicato sul sito dell’Autorità (arera.it) entro 2 giorni lavorativi dall’inizio di novembre».

 

Il commento del presidente di Arera Stefano Besseghini è improntato alla moderazione e a tenere a bada le probabili proteste delle aziende: «L’eccezionalità della situazione, con un conflitto che rende incerte le forniture e continua a spingere in alto i prezzi – afferma – ha meritato un intervento altrettanto eccezionale, anche considerando che il Parlamento e il governo sono impegnati in una fase di transizione. Un raddoppio delle bollette avrebbe potuto spingere all’aumento della morosità, mettendo ulteriormente in difficoltà le famiglie e il sistema energetico».

 

IL TEMA DELLE MOROSITÀ, delle centinaia di migliaia di famiglie e imprese che non sono in grado di pagare le bollette, è già reale anche se non esistono dati precisi: «Non abbiamo in questo momento un’evidenza di un’esplosione significativa della morosità», sostiene Besseghini. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta naturalmente di «morosi incolpevoli» visto che per la prima non riescono a pagare.

 

Per loro però non è previsto al momento alcun trattamento speciale: le norme attuali non li riconoscono e le regole per il distacco della fornitura ai clienti morosi è uguale per tutti.

 

E PREVEDONO CHE L’AZIENDA che fornisce l’energia elettrica invii prima un sollecito di pagamento tramite raccomandata o Pec con la contestuale «messa in mora del cliente». Il termine per adempiere al pagamento non può essere inferiore a 15 giorni. Se non si paga, entro altri 15 giorni viene ridotta del 15% la potenza della fornitura. Dopo quella scadenza, se non si è ancora saldato il debito, la fornitura verrà disattivata e dunque sospesa la fornitura di energia elettrica. Naturalmente il boom di morosità allungherà verosimilmente i tempi delle sospensioni.

 

In caso di pagamento con sanzioni di tutto il debito si potrà ottenere il ripristino della fornitura in 48 ore. Se invece la «morosità» persiste, dopo altri dieci giorni la fornitura verrà definitivamente chiusa. Per poterla riattivare, si deve stipulare un nuovo contratto, con costi molto più alti.

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

29/09/2022

da Unione Sindacale di Base

 

Lunedì 3 manifestazione alla Cassa Depositi e Prestiti

 

Lunedì 3 ottobre l’Unione Sindacale di Base presenterà alla Procura di Roma una denuncia contro tutte le condotte poste in essere dalle società che commerciano gas, energia elettrica e prodotti petroliferi ai danni della collettività, speculando sulle differenze tra quanto hanno pagato le materie prime e il prezzo al quale ce le stanno rivendendo.

 

Nella denuncia di USB si chiede che vengano sequestrati e/o acquisiti:

  1. gli extraprofitti dei traders italiani o i documenti relativi agli stessi;
  2. tutti i documenti attestanti i ricavi dell’ultimo anno degli operatori italiani che commerciano gas naturale;
  3. i documenti relativi agli utili del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché di CDP S.p.A., e i documenti relativi alle comunicazioni al Ministero dello Sviluppo Economico dei prezzi praticati.

Nell’attesa delle risposte dalla Procura è stata già depositata istanza di accesso agli atti per chiedere a tutti i soggetti che hanno un ruolo in questa speculazione qualsiasi documento o atto che possa giustificare gli aumenti.

 

Nel pomeriggio di lunedì 3, a partire dalle ore 16, l’USB organizza una manifestazione davanti alla sede di Cassa Depositi e Prestiti in via Goito. Cassa Depositi e Prestiti è azionista di maggioranza di ENI, una delle tante società che hanno goduto di extraprofitti per una somma complessiva di circa 40 miliardi.

 

Riguardo alla notizia riportata oggi dai media per cui dal 1° ottobre cambierà il metodo per calcolare il prezzo del gas (dal TTF al PSV italiano) l’USB segnala che l’andamento storico del prezzo del gas in Italia ha seguito esattamente quello della Borsa di Amsterdam e che pertanto siamo di fronte a un semplice cambiamento di facciata. È urgente non solo recuperare gli extraprofitti, cioè il furto conclamato a milioni di cittadini/utenti, ma anche bloccare il prezzo di gas e luce al consumatore.

 

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

28/09/2022

da Il Fatto Quotiidiano

 

Domina il centrodestra, il record (10) è della Lega di Salvini, poi Fratelli d’Italia

 

A due settimane dal voto il Fatto ha pubblicato il censimento di tutti e 101 i candidati con guai giudiziari alle spalle o in corso . Sovrapponendo ora l'elenco degli eletti si scopre che 34 finiranno in Parlamento, 22 deputati e 11 senatori: 10 li manda la Lega, 8 arrivano da Fratelli d'Italia , 6 sono di Forza Italia, 4 del Pd, 3 da Iv, 1 M5S e due "Moderati". Ecco chi sono

Il partito dei condannati, imputati e indagati ha eletto 34 parlamentari e raccolto oltre 2 milioni di voti. È trasversale, ma molto spostato a destra, visto che ben 23 esponenti appartengono alla coalizione guidata da Giorgia Meloni. Che però almeno in questa sfida non vince: a precederla c’è la Lega di Matteo Salvini.

Attenzione però: si tratta di dati parziali, perché sono stati considerati solo i risultati dell’uninominale. Altri ancora potrebbero entrare per effetto dello “scorrimento” delle liste, quando gli eletti che si erano candidati in più collegi indicheranno il proprio, consento ai primi non eletti di subentrare. In ogni caso una prima fotografia è già possibile. Prima della chiusura della campagna elettorale il Fatto ha pubblicato un censimento dei candidati di tutti i partiti alle prese con problemi giudiziari, fossero indagini a carico, processi in corso o condanne passate in giudicato, dividendoli partito per partito: ne saltarono fuori ben 101, come nella famosa carica.

Le urne si sono chiuse domenica e due giorni dopo è possibile indicare quelli che la carica l’hanno avuta davvero, conquistando un seggio nella XIXesima legislatura. La sovrapposizione dei due elenchi dice che le nuove camere avranno 23 deputati e 11 senatori finiti nelle grane per spese pazze, accuse di falso, corruzione, peculato, riciclaggio e via dicendo. Eccoli.

LA LEGA: 10 (8 deputati e 2 senatori)

Tra i primi spicca il “re delle cliniche romane” Antonio Angelucci, già condannato nel 2017 in primo grado a un anno e 4 mesi per truffa e falso per i contributi pubblici ai suoi giornali e anche imputato per istigazione alla corruzione. La spunta in Lombardia Fabrizio Cecchetti, anche lui è stato condannato a 1 anno e 8 mesi in secondo grado nel processo sulle “spese pazze” della Regione Lombardia, la cosiddetta “Rimborsopoli Lombardia”. Il partito di Salvini riesce ad eleggere anche Antonio Minardo, che conquista il seggio a Ragusa (Sicilia2), con 73mila voti nonostante una condanna definitiva a 8 mesi per abuso d’ufficio per una consulenza affidata da presidente del Consorzio Autostrade Siciliane.

 

In Calabria è eletto con 57mila voti anche Domenico Furgiuele che la Dda di Reggio Calabria chiede di mandare a processo per gli appalti nella Piana di Gioia. E’ rincorso da accuse di peculato Mirco Carloni, ancora a processo in primo grado, insieme ad altri 54, imputato di peculato per i rimborsi in consiglio regionale tra il 2008 e il 2012, circostanza che non gli ha impedito di aggiudicarsi l’uninominale delle Marche con 80.393 voti. Ha invece patteggiato una pena di un anno per il processo “Rimborsopoli” la neo deputata Elena Maccanti, che da Colegno ha preso 77.315 voti. Va a Montecitorio anche Francesco Bruzzone, capolista Liguria, già senatore e già presidente del Consiglio regionale ligure con alle spalle una condanna in primo grado a tre anni e otto mesi nel processo sulle “spese pazze” nel periodo 2008-2010. L’appello è in corso, ma la Corte dei Conti ligure l0 ha condannato a risarcire oltre 33mila euro. Siederà accanto a lui Riccardo Molinari, eletto in Piemonte circoscrizione di Alessandria, con 105mila voti

 

Al Senato un seggio andrà ovviamente a Matteo Salvini che dovrà decidere tra Calabria, Basilicata, Puglia e Lombardia. Salvini è a processo a Palermo per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio nel caso Open Arms, per non avere fatto sbarcare 147 migranti nell’agosto del 2019 quando era ministro dell’Interno. Il reato di sequestro di persona, con minori coinvolti, è punito con una pena che arriva fino a 15 anni di carcere. In Senato ottiene un seggio Massimiliano Romeo, candidato a Varese nonostante una condannato in appello per peculato per le spese pazze in Regione dove ottiene 255.695 voti.

FORZA ITALIA: 6 (due deputati, 4 senatori)

Tra le fila di Forza Italia spicca ovviamente il maestro delle pendenze giudiziarie ignorate, Silvio Berlusconi. Si aggiudica il collegio di Monza con 231.440 voti e rientra così in Senato dove fu espulso nel 2013 per decadenza dopo la condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale. Le indagini su di lui sono ancora in corso a Milano, Roma e Firenze come presunto mandante occulto delle stragi del 1993. Gli siederà accanto il patron della Lazio Claudio Lotito, eletto in Molise, prescritto nel processo penale (dove era stato condannato in appello a 18 mesi) e squalificato 4 mesi in quello sportivo per Calciopoli. Condannato in via definitiva a 3 mesi convertiti in pena pecuniaria per omessa alienazione delle partecipazioni della Lazio (nello stesso processo prescritto per agiotaggio). E nuovamente prescritto, in fase di udienza preliminare, nell’inchiesta ribattezzata Multopoli e che riguardava la cancellazione di una serie di contravvenzioni.

Con loro ci sarà Mario Occhiuto, fratello del governatore calabrese, sotto processo per bancarotta fraudolenta per il fallimento la società Ofin. La sorella è stata condannata in primo e secondo grado con rito abbreviato. A luglio scorso gli è stato notificato un atto di chiusura delle indagini. Gli viene contestata sempre la bancarotta ma per il fallimento di altre due società. Torna in Parlamento anche Gianfranco Miccichè: per il presidente dell’Assemblea regionale siciliana a febbraio la procura di Agrigento ha chiesto il rinvio a giudizio per finanziamento illecito al partito, nell’ambito dell’inchiesta “Waterloo” della Dia, Guardia di finanza e Carabinieri. L’indagine sostiene come professionisti, politici, istituzioni e forze dell’ordine fossero – secondo l’accusa – asserviti a Girgenti Acque (la società che si occupava della gestione del servizio idrico nell’Agrigentino) in cambio di favori e posti di lavoro per familiari, amici e amanti.

Alla Camera Forza Italia porta Ugo Cappellacci, eletto con 74.236 voti in Sardegna (Cagliari) nonostante sia imputato di corruzione e peculato nell’inchiesta su una presunta tangente da 80mila euro legata all’assegnazione di contributi pubblici quando era presidente della Regione. Condannato in appello dalla Corte dei conti a 220mila euro per il licenziamento del capo ufficio stampa della Regione. Prescritto, invece, nel processo sulla P3. Passando dalla Sicilia (Gela) torna al Senato anche Michela Vittoria Brambilla, che nel 2019 patteggiò , un anno e 4 mesi, con pena sospesa, per il fallimento delle Trafilerie del Lario di Calolziocorte (Lecco).

FRATELLI D’ITALIA: 8 (Sette deputati e un senatore)


Bocciato all’uninominale entra per il proporzionale Giulio Tremonti, neo deputato alla Camera. Patteggiò 4 mesi reclusione, convertiti in pena pecuniaria di 30mila euro e 10mila euro di di multa, per la vicenda dell’alloggio di via Campo Marzio a Roma, pagato da Mauro Milanese. Torna in Parlamento Stefano Maullu, ex europarlamentare di Forza Italia e oggi coordinatore milanese del partito della Meloni, indagato a Bergamo per false comunicazione a pm nell’ambito di una inchiesta relativa al fallimento della Maxwork in cui è indagato anche il senatore Paolo Romani. A fine marzo la Procura di Bergamo indaga per corruzione il senatore Paolo Romani, storico forzista poi passato a “Cambiamo”. Alla “rimborsopoli” piemontese deve una condanna a un anno e sette mesi e tuttavia Augusta Montaruli conquista con 68.367 voti il suo seggio alla Camera. Pesca 93.648 voti Salvatore Caiata, ex presidente del Potenza Calcio candidato in Basilicata nonostante un’indagine per corruzione e riciclaggio azionata dalla Gdf di Siena che hanno chiesto una proroga delle indagini.

In Emilia viene eletto Tommaso Fotiindagato per corruzione e traffico di influenze illecite per lavori pubblici e appalti che incassa lo stesso dalle urne ben 92.699 voti. Ne prende 117.994 l’ex consigliere comunale di Brescia Giangiacomo Calovini, che Fdi ha candidato in Lombardia 3 (Desenzano del Garda), nonostante sia indagato dalla Procura di Milano nell’inchiesta che vede accusato, sempre di corruzione “per atti contrari ai doveri d’ufficio”, anche l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza. In Abruzzo passa Guerino Testa, capogruppo di FdI nel Consiglio regionale: imputato insieme ad altre 17 persone nel procedimento sul fallimento delle società riconducibili all’imprenditore Carmine De Nicola. Testa ha chiesto di patteggiare 1 anno e 6 mesi di reclusione per alcune bancarotte (pena sospesa) ed è stato assolto dall’accusa di associazione a delinquere. In un’inchiesta corollario di questa, però, è finito nuovamente tra gli indagati con l’accusa di bancarotta fraudolenta. Nel mirino delle indagini la sua attività da commercialista. Al Senato agguanta un seggio Francesco Zaffini, che il partito di Meloni ha candidato in Umbria (Perugia) dove ha ottenuto 199.690 voti, nonostante sia imputato nell’inchiesta sui rimborsi regionali iniziato un anno fa.

ITALIA VIVA: 3 (1 deputato, 2 senatori)


Matteo Renzi e Maria Elena Boschi rientrano in Parlamento accomunati dal fatto di essere imputati per finanziamento illecito nel processo sulla fondazione Open. Il leader e senatore in quanto “direttore di fatto”, insieme a Lotti, Boschi, Bianchi e Carrai (membri del Consiglio direttivo), perché “riceveva, in violazione della normativa”, 3.567.562 euro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione Open; “somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. La Boschi in quanto membro del Consiglio direttivo andrà alla Camera. Sempre alla Camera passa Giuseppe Castiglione, ex alfaniano appena uscito da Forza Italia, re delle preferenze in Sicilia orientale, imputato per corruzione elettorale e turbativa d’asta nel processo sulla gestione del Cara di Mineo. Quando nel 2015 l’inchiesta è diventata di dominio pubblico, Giuseppe Castiglione era sottosegretario all’Agricoltura del governo Renzi. Ha anche chiesto e ottenuto il giudizio immediato, ma il processo è ancora in corso.

MOVIMENTO CINQUE STELLE: 1 deputato


Nel Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte un solo caso tra 52 deputati eletti. Si tratta di Chiara Appendino che ha subìto condanna in primo grado a 1 anno e 6 mesi per disastro, lesioni e omicidio colposo per la tragedia di piazza San Carlo a Torino, di cui era sindaca, del maggio 2017. Con tutti i componenti della sua vecchia giunta e quelli della giunta Chiamparino è indagata per la vicenda dell’eccesso di morti legati allo smog. Tra gli indagati c’è anche Fassino. La procura ha avanzato richiesta di archiviazione.

PARTITO DEMOCRATICO: 4 deputati


Tra gli 85 deputati eletti col centrosinistra approda a Montecitorio Piero De Luca capolista in Campania 2. Deputato e figlio del governatore della Campania, è imputato per bancarotta per il crac della società immobiliare Ifil C&D, coinvolta nel crac Amato. A De Luca junior, nella fattispecie, viene contestato di aver beneficiato tra il 2009 ed il 2011 del pagamento di viaggi in Lussemburgo, sede lavorativa del rampollo dell’ex sindaco di Salerno: secondo l’accusa, quei voli sono stati pagati con denaro della Ifil dall’imprenditore Mario Del Mese. Vicino a lui siederà l’ex governatore e attuale senatore Luciano D’Alfonso, a processo per falso ideologico: avrebbe contribuito a certificare, nella delibera di indirizzo per la riqualificazione e realizzazione del parco Villa delle Rose di Lanciano (Chieti), redatta il 3 giugno del 2016, la presenza del presidente in giunta, mentre D’Alfonso si trovava altrove. Il Veneto elegge Piero Fassino, a processo per la gestione del Salone del libro. Fassino è processato (insieme ad altri) per due vicende. La prima si riferisce al bando per l’organizzazione delle edizioni 2016-2018, che sarebbe stato confezionato su misura per GL Events. Si procede per turbativa d’asta.

La seconda è legata alle mosse che accompagnarono ricerca di grossi finanziatori per il 2016. La procura è del parere che pur di aprire le porte a Intesa San Paolo, garantendogli la posizione di sponsor esclusivo, siano stati concepiti bandi di gara ad hoc. E’ anche indagato insieme a tutti i componenti della giunta Appendino e Chiamparino per la vicenda dell’eccesso di morti legati allo smog. La procura ha avanzato richiesta di archiviazione. In Puglia passa infine Claudio Stefanazzi, capogabinetto di Emiliano, imputato a Torino, insieme al presidente della Regione per finanziamento illecito ai partiti nella vicenda giudiziaria legata alle primarie per la segreteria nazionale Pd del 2017. Ultimo rinvio a marzo. Nello stesso mese a lui e al dirigente della Regione Puglia Elio Sannicandro, è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini. Avrebbe “attestato falsamente” l’idoneità del secondo a ricoprire il ruolo di componente della commissione che ha aggiudicato l’appalto da oltre 160 milioni di euro per la costruzione del nuovo ospedale San Cataldo di Taranto, pur essendo a conoscenza di una serie di motivi che lo rendevano incompatibile.

NOI MODERATI: 2 deputati


Anche “Noi moderati” è della partita, con due nomi come Francesco Saverio Romano e Alessandro Colucci. Il primo è l’ex ministro dell’Agricoltura che conquista un seggio alla Camera in Sicilia (Bagheria) forte di 54.321 voti in Sicilia e candidato nonostante sia indagato dalla Procura di Roma sulla fornitura di mascherine durante la prima emergenza Covid. Attuale deputato, nel 2021 ha Colucci ha patteggiato una pena di un anno, 8 mesi e 20 giorni per lo scandalo “Rimborsopoli” alla Regione Lombardia. In primo grado era stato condannato a 2 anni e 2 mesi. E’ stato candidato a Galatina e avuto 79.977 voti.

POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

27/09/2022

da Contropiano

di Sergio Cararo

 

Chiuse le urne è tempo di valutazioni, anche su noi stessi. Il risultato elettorale ottenuto da Unione Popolare (1,4) ha sostanzialmente confermato quello previsto da tutti i sondaggi nelle settimane scorse, con risultati migliori in alcune città (Bologna, Napoli, Pisa, Livorno) dove è stata superata la soglia del 3%.

Era difficile immaginare variabili imprevedibili che potessero mutare sostanzialmente quel dato.

E’ evidente come questo risultato, che aggiunge solo 30mila voti a quelli ottenuti nel 2018 con Potere al Popolo (erano stati 370.000, adesso sono 401.000), sia pure in presenza di un significativo aumento dell’astensionismo, è ancora insufficiente per l’auspicato avvio di una controtendenza all’altezza della situazione.

Unione Popolare ha raccolto consensi solo nel perimetro sempre più ristretto della “sinistra”, in sostanza un bacino che “non cresce e non crepa” da anni.

Occorre però sottolineare come non abbia funzionato neanche la versione sovranpopopolare tentata da Rizzo in antagonismo alla “sinistra di movimento”. Immolando l’identità e rinunciando al simbolo con la falce e martello non ha intercettato i “voti spuri” del mondo no green pass/no vax e persino settori vicini alla “destra sociale” come modello alternativo di consensi da utilizzare oltre e contro quello della “sinistra”.

Sulla base dei risultati elettorali l’unico ad avere in qualche modo capitalizzato l’opposizione all’agenda Draghi è stato il M5S. Tutte le altre forze “antisistema” ne sono state penalizzate.

L’astensionismo certamente è cresciuto ma deve ancora rivelarsi agli umani colui o coloro in grado di capitalizzarlo politicamente. Semmai l’incentivo a disertare le urne oggi viene più dalle èlites che da una cosciente spinta dal basso.

Il risultato insufficiente di Unione Popolare non toglie rilevanza alla questione di una rappresentanza politica antagonista delle classi subalterne da costruire in questo paese, conferma ancora una volta come lo strumento elettorale, di per sé, non sia la scorciatoia ma solo uno strumento in più, da aggiungere e non da sostituire ad un radicamento sociale ancora oggi a macchia di leopardo, concentrato spesso nelle aree metropolitane ed assai meno sul diffuso territorio dei mille e mille comuni italiani.

Inoltre è bene non dimenticare che quello elettorale è un terreno truccato e sotto pieno controllo da parte dell’avversario di classe, nel quale ci si deve muovere – consapevolmente – come in un territorio ostile.

Unione Popolare ha avuto obiettivamente pochissimo tempo per definirsi e strutturarsi. Ha tenuto la sua assemblea fondativa ai primi di luglio con lo sguardo al 2023 e solo dieci giorni dopo si è trovata buttata dentro la campagna elettorale anticipata e alla necessità di raccogliere le firme in pieno agosto, cosa tra l’altro che l’impegno di centinaia di attivisti ha consentito di realizzare in condizioni decisamente proibitive,

Dunque Unione Popolare si è misurata con le elezioni con quello che aveva a disposizione fino a quel momento, senza la possibilità di pensare a come crescere e radicarsi. I sondaggi prima e i risultati poi hanno confermato quello che era e sarebbe stato il suo perimetro.

Ma Unione Popolare ha anche unito e attivato forze che non vanno disperse, ma messe in condizione di tenere botta e procedere in avanti, aumentando il proprio radicamento sociale e territoriale e la funzione politica per una alternativa di sistema.

La situazione politica, economica e sociale del paese – come del mondo – appare assai più interessante e movimentata che in passato. Guerra, recessione, infarto ecologico ed economia di guerra alimentano un habitat ideale per attivisti e militanti che perseguono obiettivi definiti di trasformazione sociale e dispongono – o si dotano – di strutture minimamente organizzate per misurarcisi.

La continua relazione tra le contraddizioni della situazione reale e la funzione soggettiva dei comunisti sta tutta dentro questo approccio.

E’ questo dunque il tema – o uno dei temi decisivi – con cui le forze che hanno dato vita a Unione Popolare dovranno mettere mano per dare continuità ad un esperimento che ha avuto troppo poco tempo per fare una verifica a tutto campo.

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24/09/2022

da Contropiano

 

 Un voto utile alla vostra felicità

 

Non votate per paura, perché la paura è sempre cattiva consigliera e distrugge la libertà. Nè tantomeno votate per rancore, perché il rancore distrugge la democrazia.

 

Non votate per il male minore, perché scegliereste sempre un male, e di male in male si finisce al peggio.

 

Non votate facendo i calcoli su quale partito abbia più possibilità di successo, come se il vostro voto fosse un investimento in Borsa Affari.

 

Non votate obbedendo al ricatto di chi ha fatto la legge elettorale più truffaldina di sempre, e ora vi chiede il voto perché sfrutta quella legge.

 

Votate invece compiendo il primo atto della coscienza libera: ditevi cosa volete.

 

Certo non è semplice domandarsi : ma io davvero cosa è che voglio? Viviamo in una società che apparentemente esalta l’individuo, e la sua libertà, ma poi impone ad ogni persona di non avere sogni, speranze, desideri, e che costringe a vivere compressi in un eterno presente senza futuro.

 

Se invece volete cambiare questa società violenta, ingiusta, oppressiva , devastante per la natura e la vita.

 

Se a quelli che vi dicono che viviamo nel migliore dei mondi possibili vi viene voglia di rispondere: se è così allora bisogna proprio lottare per un mondo migliore.

 

Se insomma scoprite di aver voglia di fare qualcosa di importante per voi stessi e per gli altri , allora siete finalmente nella dimensione del voto utile. Utile alla vostra coscienza e alla libertà di tutte e tutti.

 

#UnionePopolare è nata per questo, per chi non si rassegna alla guerra , all’ingiustizia sociale e a quella climatica alla distruzione della democrazia e dei diritti, all’oppressione del potere sulla vita.

 

Chi dà il voto a Unione Popolare non lo fa piangendo, mugugnando, turandosi il naso, ma anzi è felice di poter mettere una crocetta su ciò che vuole.

 

Ecco, se vorrete votare con contentezza invece che con angoscia o rassegnazione , unitevi a noi , che domenica andremo alle urne con la soddisfazione e anche l’entusiasmo di fare la cosa giusta. Date un voto utile alla vostra felicità.

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23/09/2022

da Contropiano

 

Giovani nelle piazze contro l’infarto ecologico. Unione Popolare la più convincente sull’ambiente

 

Migliaia di studenti e giovani oggi sono scese nelle piazze di molte città italiane per il Friday For Future (Fff), la giornata di lotta internazionale nata per fermare il piano inclinato che sta portando il pianeta all’infarto ecologico.

 

Nella giornata sull’emergenza ambientale globale c’è stato un interessante confronto diretto tra alcuni esponenti di Unione Popolare – che alcuni giorni fa aveva scritto una lettera aperta ai movimenti ambientalisti – ed esponenti di Friday for Future

“Il programma e le posizioni dei candidati di Unione popolare risultano coerenti con le misure che devono essere adottate per contrastare la crisi climatica e sociale che in parte abbiamo riassunto nella nostra Agenda climatica”: con questo sigillo i giovani di Fridays for Future timbrano il diario nella pagina dell’incontro con Unione popolare” scrive oggi il Fatto Quotidiano che ha resocontato dell’incontro.

 

La lista guidata da Luigi de Magistris ha partecipato all’incontro con Domenico Finiguerra, 51 anni, ambientalista di lungo corso, al terzo mandato da sindaco di Cassinetta di Lugagnano e Giuliano Granato, portavoce di Potere al popolo. A interloquire per Fridays for Future Italia la portavoce nazionale del movimento Laura Vallaro, 20 anni, studentessa di Scienze forestali a Torino, e Giorgio De Girolamo, 20 anni, studente di Giurisprudenza a Pisa.

 

A Milano il corteo dei Fridays for Future si è fermato in piazza Velasca, davanti alla sede di Assolombarda, per ricordare le vittime Giuseppe Lenoci, Lorenzo Parelli, e Giuliano De Seta, l’ultimo morto il 16 settembre scorso in provincia di Venezia.

 

Hanno alzato cartelli rossi con scritte bianche: “Giuliano, Lorenzo, Giuseppe. Per ogni vittima. Contro il sistema colpevole“. Dopo un minuto di raccoglimento uno studente ha detto al megafono: “Sono stati uccisi dall’alternanza scuola lavoro e da Confindustria, che mettono a rischio nostre vite, il nostro pianeta e la nostra formazione: un sistema per cui i profitti sono più importanti delle nostre vite“.

 

Le foto sono di Patrizia Cortellessa

 

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23/09/2022

da Left

Giacomo Pellini

 

I Fridays for future: Basta chiacchiere sul clima

 

I giovani del movimento ambientalista scendono in piazza per lo sciopero globale. E in Italia, a due giorni dalle elezioni, chiedono ai partiti di affrontare non solo a parole la crisi climatica. Le voci degli attivisti

 

Trasporti pubblici gratuiti, comunità energetiche in ogni comune, stop ai jet privati, efficientamento energetico di scuole e case popolari e introduzione del salario minimo.

 

Sono queste le principali rivendicazioni dei Fridays for future, i giovani ambientalisti che oggi, in occasione dello Sciopero globale per il clima, scendono in piazza in tutto il Pianeta, in un momento molto delicato per il mondo intero e per il nostro Paese – mancano infatti solo due giorni alle elezioni politiche.

 

I ragazzi e le ragazze che seguono le orme di Greta Thunberg sfileranno in oltre 70 città italiane, urlando gli slogan “Quale voto senza rappresentanza” e “Basta chiacchiere sul clima”: sullo sfondo, oltre alla crisi energetica innescata dall’escalation del conflitto in Ucraina, c’è l’accelerazione della crisi climatica, come testimoniano gli eventi metereologici, ultimo in ordine di tempo l’alluvione nelle Marche.

 

Ma in tutto questo come si sta comportando la politica nell’affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici? Secondo uno dei portavoce nazionali, Filippo Sotgiu, 21 anni, sardo d’origine e trasferitosi a Roma per studiare al conservatorio, al di là dei numeri, le misure intraprese dall’Italia sono evidentemente insufficienti sotto diversi punti di vista, dagli ostacoli che ancora sussistono all’installazione di energie rinnovabili e le comunità energetiche (che infatti procedono estremamente a rilento) alla mancanza di piani seri per un potenziamento del trasporto pubblico locale (urbano e regionale).

 

«La politica ha di fatto ignorato la crisi climatica, che è rimasta ai margini della campagna elettorale, e molti partiti hanno taciuto sulle misure più efficaci che si sarebbero potute mettere in pratica per ridurre le emissioni e al tempo stesso aiutare le persone in difficoltà a causa della crisi energetica» afferma Filippo, che afferma senza mezzi termini che «la politica non riesce a rappresentarci».

 

Certo, il distinguo tra la sinistra e la destra è abbastanza netto: almeno a grandi linee i programmi della sinistra contengono effettivamente molte delle misure che il movimento ritiene necessarie, e hanno il pregio di prevedere politiche che affrontino le disuguaglianze climatiche. Viceversa, un governo e una maggioranza guidati dalla destra, che si dichiara, a suo dire, avversario del movimento ambientalista «rischia indubbiamente di rendere il nostro lavoro più difficile».

 

Ma il giudizio del giovane ambientalista nei confronti dei progressisti italiani è duro, le loro proposte «poco ambiziose» e prive di coraggio.

 

La principale colpa del Partito democratico e dei suoi alleati, per Filippo, è quello di non riuscire «a trasmettere alla gente il messaggio fondamentale che affrontare la crisi climatica vuol dire anche affrontare i tanti problemi sociali che affliggono il nostro Paese, e che una transizione ecologica giusta non lascia indietro nessuno».

 

Ancora più dura è Laura Vallaro, un’altra portavoce dei Fridays italiani, piemontese, studentessa di Scienze forestali all’Università di Torino: per la giovane, i politici hanno preferito «nascondere la testa sotto la sabbia» nonostante gli scienziati ci avessero messo in guardia per farci cambiare rotta.

 

«Nell’attuale sistema politico non troviamo e non troveremo le risposte alla crisi climatica». Per Laura è impossibile attuare e rispettare l’Accordo di Parigi sul clima siglato nel 2015: per farlo, secondo la giovane attivista «è necessario strappare contratti e bloccare progetti legati ai combustibili fossili, e dentro a questo sistema non è possibile. Ci sono molti modi per fare politica e partecipare alla vita democratica, e in questo momento più che mai è necessario essere persone attive, per difendere il clima e la democrazia. Quindi dato che la politica ha fallito nel dare le risposte noi vogliamo creare un altro tipo di politica che sia davvero democratica».

 

Mancano solo due giorni alle elezioni politiche italiane, e negli ultimi sondaggi rilevati la destra è saldamente in testa. Nel frattempo, la crisi energetica e quella climatica incombono, e nello stesso tempo il conflitto in Ucraina sembra volgere sempre più al peggio.
Ma come potrà incidere su questi scenari lo Sciopero globale per il clima?
I due giovanissimi portavoce mi lasciano con una nota di ottimismo. Qualunque sia l’esito delle elezioni, ragionano Laura e Filippo, il nuovo governo non potrà ignorare il fatto che la crisi climatica rimane una delle principali preoccupazioni dei cittadini. Infatti, se c’è abbastanza pressione pubblica, chiunque vinca le elezioni deve considerare le persone che sono scese in piazza per chiedere protezione del clima.

 

Insomma, se nessuno ci rappresenterà nel prossimo parlamento, chi meglio di questi ragazzi può rappresentarci?

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