Hussam Abu Safiya era già stato arrestato dai soldati israeliani. Era successo a fine ottobre, per poche ore. Il direttore sanitario del Kamal Adwan, l’ospedale della cittadina di Beit Lahiya, il più importante nosocomio del nord della Striscia di Gaza, era stato preso assieme ad altre decine di medici e di personale sanitario, interrogato e poi rilasciato. Rilasciato, quasi subito, mentre l’ospedale continuava a essere sotto un assedio durissimo, più duro di quello che, a corrente alternata, ne aveva reso difficile l’operatività già all’indomani del 7 ottobre 2023.
A fine mese, l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, non potrà più operare a Gaza e nella Cisgiordania. Glielo impedirà una legge del Parlamento israeliano, che metterà ulteriormente a rischio altre migliaia di vite umane, oltre a quelle già sacrificate nella gigantesca operazione militare di ‘autodifesa’, seguita ai massacri del 7 ottobre.
Ancora bilanci in attesa che il vero nuovo anno inizi il 20 gennaio con l’insediamento di Donald Trump alla presidenza Usa. Due guerre diverse, precisa Ugo Tramballi all’ISPI, studi di politica internazionale, ma non è ottimista sul futuro prossimo: «entrambe senza basi solide per una pace duratura, mentre l’incertezza globale cresce con l’ombra di Trump sul 2025». E un’Europa sempre più fragile il probabile risultato di Putin.
Nelle prime ore del 27 dicembre, le forze armate israeliane hanno preso d’assalto l’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya al termine di un assedio, durato quasi una settimana, a quella che era l’ultima struttura sanitaria funzionante nel nord della Striscia di Gaza. Reparti chirurgici, laboratori, unità di emergenza, sono andati bruciati. I pazienti sono stati forzosamente rimossi.